MACEO CARLONI
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Sindacalista negli anni del fascismo

“Acciaio, a.I,n.11,15 dicembre 1934  - torna indietro -
“Questioni sociali
“Acciaio, a.I,n.11,15 dicembre 1934

E’ il caso di dire : Vogliamo parlarne ?
Da certi pulpiti si potrebbe rispondere: “ no”.
Ed invece parliamone, parliamo dei molteplici aspetti di queste necessità sociali anche se, per esse, fiumi di inchiostro sono già stati consumati da letterati e sociologi.
Interminabili discussioni basate su principi di umanità e di giustizia hanno assorbita l’attività di appassionati organizzatori sindacali.
Parliamone naturalmente, sfrondando il discorso da qualunque infiorettatura e difficile nomenclatura, sia per rendere più facile la lettura all’amico operaio, sia per rendere… più scorrevole la penna dello scrivente.
Per questa settimana, dall’indice degli infiniti problemi che fanno capo alle “Questioni Sociali”, prendiamo: “ Lavoro delle donne e dei fanciulli”.
Si dirà: “basta con questa tiritera che è stata oggetto dell’esame più ampio fatto nelle sedi più opportune, da uomini altamente responsabili”, ma si può rispondere: “è vero, ma l’esame non ha fruttato… la promozione”.
Perché? Per una cosa da nulla, certi interessi ne avrebbero sofferto.
“Interessi locali?”, chiederà il solito curioso. 
No, interessi Nazionali.
Interessi Nazionali, non perché riguardino le casse dello stato, ma perché riguardano quelli di certi uomini, che vivono nello Stato.
Ed intanto la donna ed il fanciullo seguitano ad essere occupati in lavori nocivi alla loro integrità fisica, in barba a tutti gli appelli e a tutte le propagande sulla necessità di avere una razza sana nel corpo e largamente demografica.
Si obietterà: “ci sono le leggi per il collocamento che dettano norme al riguardo, ed oggi ci sono anche precisi accordi sindacali”.
E’ vero, ma tali leggi (lo scrivente non le conosce perché ha ancora molti anni di studio da compiere per diventare… avvocato) stabiliranno l’età di assunzione per i ragazzi e le donne, ma non classificheranno, credo, le varie attività industriali per le quali possa essere assorbita mano d’opera minorile o femminile.
E’ vero che precisi accordi, conclusi in questi giorni dalle Federazioni interessate, stabiliscono alcune delle lavorazioni per le quali non è possibile assorbire la mano d’opera in oggetto, ma è anche vero che tali accordi potranno essere praticamente applicati soltanto se si sfronderanno certi principi sui quali è basato tutto un sistema di produzione che mette un produttore contro l’altro, per il non mai tanto deprecato sistema della concorrenza che si riduce, nella ricerca  affannosa di ridurre il costo della mano d’opera, sia procedendo alla sostituzione della maestranza adulta con quella minorile o femminile, sia procedendo (certi industriali italiani hanno largamente usato tale mezzo) al licenziamento graduale degli operai per riassumerli con paghe notevolmente ridotte.
Può quindi ritenersi risolto il grave problema che investe, così da vicino, quelle care e tanto belle creature che sono i fanciulli e le donne, soltanto perché esistono al riguardo accordi sindacali ?
Giuridicamente sembrerebbe di si, virtualmente lo sarà soltanto se lo spirito Fascista che anima in maniera tanto superba la maestranza operaia Italiana, che ogni giorno segna pagine gloriose di sacrificio consapevole per la salvezza economica della Nazione, prevarrà sugli egoismi di pochi, facendo si che, per la definitiva soluzione d’un problema agitato da anni, sia dimenticato e  messo da parte l’egoismo che, se impingua pochi portafogli, danneggia nel fisico la donna, madre delle nuove romane legioni, ed i fanciulli, novelle scolte d’una Patria che avrà domani più larghi confini.
Maceo Carloni

“Acciaio “, a. I, n13, 29 dicembre 1934  - torna indietro -
“Diritto al lavoro”
Acciaio “, a. I, n13, 29 dicembre 1934

Camerati che lasciate brandelli dalla vostra carne nei cantieri sonanti, nelle officine degli immani stabilimenti dove la vostra volontà piega la forza bruta della materia, avete ancora, e più di prima, diritto al lavoro.
E’ questo il titolo col quale su “Acciaio” del 23 u.s. il valoroso Procuratore del Re Comm. Manichini, con sobria parola, ma con fede profonda nei risultati sociali, che è possibile raggiungere, illustrava la necessità che anche ai liberati dal carcere sia consentito di cercare e di trovare nel lavoro la certezza di una redenzione e l’oblio di un passato che la legge ha già punito con la sua severità.
E, non a torto, ha voluto dimostrare che, quasi sempre, negli stessi soggetti che già vissero calpestando le norme del vivere civile, esiste un fondo di sensibilità per cui, nelle officine, per disciplina e produttività, nulla hanno da invidiare agli stessi camerati, immuni da contagio criminale, che affiancano la loro fatica.
E’ quindi un dovere dei datori di lavoro associarsi a questa opera di redenzione umana, vincendo per questo tutti i pregiudizi, per i quali, fino a ieri, i liberati dal carcere erano guardati come reprobi della società e dovevano vivere lontano da essa, nell’ambiente malsano e viscido che segnò la loro degradazione morale.
Opera santa, quindi, quella dei Patronati per l’assistenza ai liberati dal carcere.
E santa è tutta la legislazione dello Stato per garantire la continuità e la bellezza del lavoro alle gloriose falangi dei mutilati di guerra, prezioso patrimonio della Nazione Italiana.
E’ dunque il lavoro, oltre che una necessità materiale per chi vive di esso, una necessità morale che educa gli uomini a sentimenti generosi, che li affratella e li tiene lontani da tutte le mollezze della vita.
Perchè dunque condannare alla miseria materiale tanti uomini fisicamente ancora validi e colpevoli solo di avere lasciato nelle officine tracce sanguinose del loro passaggio ?
E’ stata dunque una colpa l’aver servito con fedeltà ed onore e l’aver versato il proprio sangue nel tentativo di vincere e plasmare la dura fibra dell’acciaio ?
Non è stato il sanguinoso episodio, che privava l’operaio di una parte della sua efficienza produttiva, il tratto più luttuoso ma di più alto significato, per cui il lavoratore può essere comparato all’eroico  fante che di fronte al nemico, nel tentativo disperato di cercare la vittoria ad ogni costo e a prezzo di qualunque sacrificio, cade per non più rialzarsi o per rialzarsi agitando sanguinosi moncherini ? 
Ed allora perché il sentimento di religioso rispetto che ci fa inchinare e meditare di fronte al mutilato della guerra, non deve essere lo stesso per colui che non è eroe della trincea, ma che ha combattuto una giusta battaglia ed è caduto con la fronte rivolta all’insidia ?
A voi, datori di lavoro, il compito umano, sociale e doveroso di valutare il mutilato del lavoro richiamandolo alle vostre officine per affidargli la mansione, forse non più rimuneratrice per voi, ma che sia compatibile con la sua efficienza fisica.
Date allo Stato la prova che non sempre è necessaria la legge per dar luogo a soluzioni umane, ma basta la vostra sensibilità, che non può essere assente in casi di così alto significato sociale.
I mutilati del lavoro rappresentano, come i mutilati della guerra per i combattenti, la fulgida schiera degli eroi e dei martiri che hanno dato e sono pronti a dare ancora parte della loro carne.
Aprite loro le porte delle vostre officine, eliminate tutti i pregiudizi ed i calcoli economici, fregatevene di tutte le questioni di principio, fate largo ai relitti del lavoro. Rendetevi, con la riconoscenza verso essi, altamente benemeriti di una questione sociale profondamente umana come quella del “diritto al lavoro”, mostrate la vostra ammirazione alla schiera dei forti che hanno insanguinato le vostre officine, le vostre macchine ed hanno con ciò guadagnato il diritto al vostro rispetto.
Datori di lavoro, mostratevi larghi di favore verso quelli che il Fascismo onora perché caduti nella santa e dura battaglia del lavoro.
Maceo Carloni

"Acciaio", a. II, n. 3, 26 gennaio 1935  - torna indietro -
“Collocamento della manodopera e visita medica”
"Acciaio", a. II, n. 3, 26 gennaio 1935

In seguito alla applicazione degli accordi interconfederali per la settimana lavorativa di 40 ore, assistiamo, da parte di alcuni dirigenti industriali che hanno capito la portata sociale del provvedimento e non cercano di ostacolarlo, ad una vasta assunzione di manodopera disoccupata la cui scelta, per quanto riguarda la maggiore industria locale, cioè quella siderurgica, è fatta attraverso gli uffici di collocamento secondo quanto, in proposito,  prescrive la legge.
E’ così evitata la possibilità di evadere le norme che regolano la scelta del personale, impedendo l’immissione negli Stabilimenti industriali di manodopera agricola, di possidenti o di operai adibiti a lavori che non hanno attinenza con la caratteristica degli Stabilimenti locali.
L’attenzione con la quale è seguito dagli uomini responsabili l’assorbimento dei disoccupati ed il controllo esercitato al riguardo dalle autorità, fa prevedere, per la nostra zona, il risultato più soddisfacente.
Ma l’attenzione delle autorità deve essere anche richiamata sul controllo esercitato dal competente ufficio sanitario di ogni singolo gruppo aziendale, per verificare eventuali tare fisiche o imperfezioni fisiologiche degli uomini chiamati a prestare la loro opera nelle officine. Tare o imperfezioni che, se riscontrate, precludono ad essi il lavoro che avevano affannosamente cercato.
Questo controllo sanitario, che viene esercitato anche sulla maestranza attualmente in forza negli stabilimenti, costituisce forse, dal lato giuridico, il diritto indiscutibile del datore di lavoro.
Non saremo certamente noi a contestare questo diritto, ma saremo noi, in quanto ne abbiamo il dovere, a lanciare ancora una volta un grido d’allarme, con la convinzione che esso troverà, negli organi responsabili, la giusta eco per cui, tra tutti i diritti, venga riconosciuto anche il diritto al lavoro per coloro che non sono nella condizione di effettiva e completa efficienza fisica.
Con la crudezza che, negli affari, non lascia posto alla voce del cuore, si nega a queste persone, colpite da un infausto destino, la gioia del lavoro, menomando in pieno lo stesso diritto alla vita.
Questi sfortunati, affannosamente, passano da un ufficio politico o sindacale ad un altro, alla ricerca della chiave magica che tolga loro l’incubo di una eterna disoccupazione.
Per le necessità contingenti del mantenimento della famiglia, li vediamo ricorrere a tutte le opere di assistenza, dove trovano speranza, conforto ed aiuto, ma dove devono fatalmente ritornare ogni giorno, perché il lavoro, gioia della vita, è ad essi negato.
Eppure molti di questi uomini portano sulla carne il segno della loro dura fatica. Ancora hanno negli occhi l’attimo d’angoscia che precede il momento fatale e, pur martoriati, non chiedono un’assistenza per sé e per le loro famiglie , chiedono soltanto lavoro.
Uomini che avete un cuore che sente i palpiti della generosità, date loro lavoro! Essi hanno ben meritato dalla umana riconoscenza.
Ci sono anche i derelitti, segnati sin dalla nascita da imperfezioni che rappresentano per loro la pesante croce del martirio che li accompagnerà per tutta la vita.
E’ cosa sicura che il Regime Fascista correggerà anche queste ultime ingiustizie sociali, ma prima ancora che il Regime sia chiamato a legiferare, perché non seguire la voce del cuore ed aprire le braccia a questa schiera, dando ad essa la suprema gioia che solo il lavoro sa concedere nella continua altalena della vita?
Molte di queste persone, pur essendo menomate fisicamente, presentano ancora le caratteristiche di un uomo in buona efficienza, sono quindi in grado di dare, con profitto, la loro opera ad un processo produttivo.
Altri, specialmente i mutilati del lavoro, sono menomati in forma ancora più grave.
A questi, secondo le proprie capacità, dovrebbero essere assegnati nelle officine i posti di minore disagio, che attualmente sono goduti, non solo dai mutilati di guerra, che ne hanno diritto, ma anche da altri, nel vigore degli anni, pieni di forza e di salute, ma che  hanno speciali raccomandazioni.
Epurare gli ambienti dando lavoro a tutti, distribuendolo secondo la capacità fisica dell’uomo, in modo che ogni famiglia abbia un lavoratore, anche se minorato, ogni tavola il pane necessario.
Nulla è più triste della vita dell’uomo che cerca affannosamente un lavoro senza trovarlo.
Alcuni dirigenti di azienda diranno che la soluzione di questo problema, pur essendo assolutamente sociale, porterà ai loro bilanci un aggravio, soprattutto perché il datore di lavoro dovrà pagare i premi di assicurazione contro gli infortuni per uomini già minorati fisicamente. Questi, se nuovamente infortunati, potrebbero pretendere il riconoscimento della diminuita capacità lavorativa anche per il difetto fisiologico che presentavano all’atto dell’assunzione.
Altri, pur ammettendo il diritto dei minorati ad avere tutta l’assistenza morale e materiale, aggiungeranno che non si può concepire una maestranza il cui stato fisico non sia stato largamente accertato per buono.
Si può obbiettare a questi ultimi che, indubbiamente, lo Stato con il tempo disporrà perché i mutilati e gli invalidi, minorati per tare fisiologiche, possano avere il necessario per la vita e quasi certamente un lavoro confacente alle loro capacità fisiche.
Né sarà difficile trovare una soluzione per garantire il datore di lavoro, che voglia compiere il generoso gesto di assumere i minorati in parola, perché, dal lato assicurativo, essi abbiano le più ampie garanzie.
Agli uomini di buona volontà, agli organizzatori, operai ed industriali, il compito di studiare il problema e di proporre le soluzioni atte a dare tranquillità e lavoro ad una classe di benemeriti, siano essi mutilati del lavoro che uomini segnati nel fisico da una sorte avversa.
Maceo Carloni

 "Acciaio", a. II, n. 9, 16 febbraio 1935  - torna indietro -
"Assegni famigliari e collocamento"
"Acciaio", a. II, n. 9, 16 febbraio 1935

La Cassa Nazionale di Integrazione degli assegni famigliari, nata in seguito all’applicazione della settimana lavorativa di quaranta ore che rappresenta la più bella conquista del lavoratore, è entrata in piena funzione.
Questo organismo economico, la cui portata sociale non può sfuggire all’esame dei giusti e degli onesti, è quanto di più grandioso era possibile concepire per migliorare, od almeno mantenere, la condizione economica delle famiglie più prolifiche.
Di coloro, cioè, che anche in questo campo, rispondono pagando di persona, con tutta una esistenza segnata dal sacrificio di ogni giorno.
E’ l’anima del popolo che si rivela in tutte le manifestazioni dove il prestigio e la potenza della Nazione sono in gioco.
Nel mondo elegante, dove è necessario mantenere la linea per far sfoggio di costose toilettes  o per esporre, in eleganti salotti, la nivea bianchezza di carni fragranti, non è raro sentire sarcastici commenti alla miseria generata nelle famiglie operaie da una numerosa figliolanza.
Ma nel mondo elegante non è il popolo che parla. 
Dove non parla il popolo, che al lavoro chiede la  ragione della sua esistenza e della sua fierezza, di quel popolo rappresentato dall’operaio, dal professionista, dallo scienziato e dall’impiegato, spesso chiamato ad una vita ancora più grama di quella dell’operaio stesso, non c’è lo spirito della Nazione.
E’ quindi al funzionamento di questo potente organismo economico che oggi è rivolto lo sguardo dei lavoratori Italiani, perché in esso vedono il segno di una continuità di programma che dovrà gradatamente portare alla più alta giustizia sociale.
E’ certo che le restrizioni sulla concessione del sussidio, imposte da necessità precauzionali, saranno rivedute e corrette, immediatamente dopo i risultati del primo consuntivo trimestrale.
L’organismo, come tutti gli organismi economici, non è nato perfetto.
Esso presuppone la possibilità di collocamento di tutti i figli che abbiano superato il 14° anno di età in quanto  esclusi dal sussidio.
In pratica ciò non è possibile, sia per il naturale scrupolo del genitore di avviare il figlio all’ officina, ad una età in cui si sente tutta la necessità di essere attaccato alle gonne della mamma, sia per il necessario atteggiamento delle organizzazioni sindacali, per impedire l’assunzione di mano d’opera minorile, a scopo di egoistico sfruttamento, da parte di certi datori di lavoro non certamente benemeriti della causa Fascista.
Ed i figli, che per somma iattura della sorte, sono nati con imperfezioni fisiche, che ne fanno peso gravoso e doloroso per i genitori, non sono a carico degli stessi e non hanno quindi il diritto previsto dallo Statuto Sociale anche se hanno superato il 14° anno di età ?
E come colmare lo squilibrio apportato alla economia domestica  delle famiglie con prole di 14 anni compiuti ma ancora a carico del genitore ?
Se gli uffici di collocamento fossero attrezzati in maniera da conoscere la situazione famigliare di ogni lavoratore, tante miseria sarebbero lenite.
A che pro comprimere le spese di questi organismi sino al punto da renderli insufficienti allo svolgimento del delicato compito ad essi affidato.?
Sono vari i motivi che portano a queste conclusioni.
Il più grave è quello dell’attrezzatura, di cui sono dotati, che è assolutamente insufficiente.
Più di una volta, articoli scritti sull’ “Acciaio” da operai, hanno messo in evidenza fatti e cose che continuamente si ripetono, nonostante le precauzioni prese dai dirigenti dell’ufficio, che sono veramente encomiabili.
Si può desumere, quindi, che tale risultato non è il prodotto di una cattiva direzione, ma la conseguenza dei limitati mezzi con cui è stato attrezzato l’ufficio e con i quali l’ufficio stesso ha svolto la sua attività sino ad oggi.
Per mezzi non vogliamo far riferimento al numero delle persone assegnate al funzionamento dei vari uffici di Terni che, forse, sono anche troppi.
Ogni lavoratore dovrebbe figurare su un apposito schedario con tutte le informazioni che  riguardano la sua situazione economica, il suo stato civile e le  persone a carico.
I disoccupati, iscritti agli uffici di collocamento, sono selezionati secondo il mestiere che praticano?
Esiste una statistica dei lavoratori che hanno maturato il diritto alle precedenze previste dalla legge sul collocamento?
E’ possibile, allo stato delle cose, precisare l’anzianità di iscrizione alle liste di collocamento onde impedire la più grande ingiustizia, che è quella di condannare i meno postulanti ad una lunga ed estenuante disoccupazione?
Come sarà possibile evitare questa ingiustizia se gli uffici non saranno arricchiti di mezzi per scegliere la mano d’opera richiesta, quando, come ha stabilito il Gran Consiglio, sarà tolto al datore di lavoro il diritto di scelta ?
Occorre attrezzarsi rapidamente.
E’ troppo delicata  la funzione degli uffici di collocamento perché, per essi, si facciano pericolose economie.
Una volta attrezzato l’ufficio, in maniera organica e funzionale, sarà anche possibile realizzare una sicura economia nell’impiego degli uomini.
Molte delle attuali ingiustizie che, per il vero, non possono essere attribuite a nessuno, scompariranno con la normalità del servizio.
Gli operai, dall’anima squisitamente sensibile, vedono, osservano e commentano, specialmente se colpiti dalla dura iattura di una lunga mancanza di lavoro.
E’ ovvio che, per evitare l’aumento della disoccupazione, nonostante l’assorbimento della mano d’opera da parte degli stabilimenti locali, è doveroso procedere ad una accurata selezione degli uomini che richiedono l’iscrizione nella lista dei disoccupati.
Ma è anche giusto che, in quanto lo statuto dalla Cassa Nazionale per gli assegni familiari non prevede il sussidio per i figli che hanno superato il 14° anno di età, questi abbiano il diritto di iscriversi nella lista dei disoccupati. Ciò sia per la verità delle statistiche che si presentano, sia per il diritto che gli stessi hanno di non gravare sul bilancio della loro famiglia.
A tutto provvedono il tempo, la volontà e la esatta conoscenza che hanno, al momento, gli uomini che dirigono le nostre organizzazioni.
Maceo Carloni

"Acciaio", a. II, n. 18, 14 maggio 1935  - torna indietro -
“ L'igiene nelle officine”
"Acciaio", a. II, n. 18, 14 maggio 1935

Leggendo i quotidiani che, nella loro vasta funzione sociale affrontano e concorrono in maniera, qualche volta decisiva, alla risoluzione di problemi ritenuti insolubili, non è raro il caso di scorrere articoli scritti da illustri igienisti o da ricercatori dei mezzi idonei alla difesa della salute, tesoro della vita.
In questi articoli si esalta la necessità di osservare scrupolosamente tutte le norme che rappresentano sicura garanzia per la difesa di quella sanità della razza, tanto più esaltata oggi che, in Regime Fascista, è considerata la base per la ricchezza e la potenza della Patria.
E’ naturale che l’azione, in tal senso svolta, sia tesa ad ottenere completa vittoria nella lotta contro tutte le malattie sociali, che da secoli mietono vittime a milioni, apportando lutto e miseria senza nome.
Ma è altrettanto giusto che, in questa generosa battaglia che ha mobilitato la scienza di tutto il mondo e particolarmente la scienza Italiana, non siano dimenticati problemi particolari che, pure essendo di minore volume, non sono certamente di minore importanza, come quelli della condizione igienica dei lavoratori nelle officine, nei cantieri, nei campi.
Le officine, specie quelle di piccoli stabilimenti, rappresentano un agglomerato di persone che, sia pure per poca educazione, non osservano le norme del vivere civile. Vi sono in tale agglomerato, uomini e donne sanissimi, ve ne sono altri tarati dalle malattie più spaventose che, oggi, ancora non debellate, rappresentano un pericolo sociale per ogni Nazione.
E’ in questi centri che deve penetrare lo sguardo degli ispettori della sanità pubblica e particolarmente in certe officine dove il criterio direttivo è legato alla mentalità del passato, a quelle mentalità, “chiusa e antimodernista la quale crede di avere insultato un uomo qualsiasi quando lo ha chiamato facchino, spazzino o, più genericamente, operaio ”.
Poco disinfettante bagna il pavimento di certi locali.
E’ una economia, sia pure di pochi centesimi, ma è sempre una economia che, per la spiccata tendenza di certi uomini a fare bottino ad ogni costo, serve ad ingrandire il volume dei loro guadagni.
Poco disinfettante e poca aria, molte ragnatele e spessore enorme di polvere si osservano depositati sui muri anneriti per lo sposalizio molto antico che essi hanno contratto con la bianca ed igienica calce. Vediamo spesso in certe officine dove si fabbricano le armi destinate a presidiare la Patria e dove fiumi di acciaio corrono sfavillando dai forni a riempire capaci forme, delle toilettes civettuole che abbelliscono e rendono meno dura la fatica.
E’ necessario che tale norma, invalsa nelle officine della più grande Industria ternana, sia largamente osservata da chiunque è responsabile della sanità dei propri dipendenti.
Chi vive il lavoro delle officine, dei cantieri o dei campi, ha il diritto che il proprio datore di lavoro si attrezzi in modo che, giunta l’ora in cui la casacca di fatica è sostituita dalla modesta giacca di passeggio, il lavoratore abbia la possibilità di fare una completa toilette alla propria persona perché la polvere e tutti gli odori, non certo piacevoli, su  lui depositati durante la giornata, scompaiano con abbondanti abluzioni.
Si obietterà che nella massa operaia non vige il concetto della educazione igienica. Può anche essere vero, colpa questa, tra le più gravi, dei passati dirigenti di masse che si sono largamente preoccupati di un seggio a Montecitorio, ma non si sono preoccupati, come si preoccupa oggi il Regime Fascista, di dare agli operai una casa decorosa, un salario equo e un lavoro per tutti.
Come poteva educarsi l’operaio alle elementari esigenze del vivere civile quando, per la povertà del guadagno, nonostante l’immenso cammino percorso, era costretto ed ancora lo è a vivere in ambienti malsani, con quattro o  cinque persone che riposano nella stessa camera e a respirare aria viziata che avvelena i loro polmoni, negando ad essi l’ossigeno necessario alla vita ?
Come poteva convincersi che il bagno giornaliero rappresentava per esso fonte di salute e segno di civiltà, quando nessuno dei datori di lavoro si preoccupava di creare le condizioni perchè salute e civiltà avessero nelle officine riscontro in impianti igienici sufficientemente attrezzati ?
Occorre creare l’atmosfera morale che porti le masse alla convinzione che l’igiene è una necessità della vita civile e che l’osservarla, oltre che dovere, è elementare senso di difesa contro l’assalto che bacilli d’ogni specie tentano alla salute del corpo, minacciando l’organismo ed agendo in modo così spietato che la stessa sanità della razza ne sia seriamente minacciata.
Creare, ripeto, l’atmosfera morale, ma attrezzarsi anche perché la massa, la grande massa dei lavoratori distribuiti nelle officine, nei cantieri e nei campi, abbiano a loro disposizione i mezzi per osservarla.
Si può oggi affermare che le grandi, medie e piccole industrie sono attrezzate in modo da poter disporre di una organizzazione igienica che garantisce ai dipendenti l’uso di spogliatoi ben arieggiati, di docce e di tutti gli altri accessori che formano il complesso che consente il rispetto delle norme igieniche più elementari ma più utili nella vita ?
Certamente queste strutture costeranno cifre anche ingenti, specialmente per le grosse industrie dove l’agglomerato è rappresentato da migliaia di unità, ma la spesa sarà largamente compensata dalla funzione sociale che nel campo dell’igiene essa permetterà di svolgere. Darà motivo di compenetrare le masse di tutte le norme igieniche necessarie alla difesa della salute. Si avranno maestranze educate alla disciplina del vivere civile, sane nel corpo e nello spirito, che largamente apprezzano il beneficio ad esse apportato e nel settore della produzione non mancheranno di affacciarsi i benefici effetti di tale iniziativa.
Mancano spogliatoi, bagni, docce, latrine igieniche, ad operai ed impiegati nelle officine, nei cantieri, nei campi.
Quando il fumo e la polvere sono i compagni della giornata, non basta la spruzzata, anche abbondante del rubinetto, è necessaria la pioggia cascante che tutto investe e deterge.
Docce dunque, spogliatoi, calce bianca nei muri, disinfettanti in terra, e in quelle officine.
Dove l’egoismo prevalesse sulla necessità igienica della maestranza, intervenga la legge con la sua severità e punisca senza pietà.
Solo così si può avere l’orgoglio di vivere nel secolo della Rivoluzione Fascista e così è possibile l’alleanza con gli uomini chiamati a combattere la grande battaglia per la sanità della razza”.
Maceo Carloni

 "Lavoro Metallurgico", a. IV, n. 1, 15 gennaio 1942  - torna indietro -
 "La Regolamentazione contrattuale per i lavoratori delle fonderie"
"Lavoro Metallurgico", a. IV, n. 1, 15 gennaio 1942

Una massa di uomini in tuta, macchiati di grasso, di terra nera, marrone, rossiccia, in una nube di polvere, di fumo, con la gola riarsa di sete e “pizzicata” dai gas, si agita intorno a pesanti strumenti di lavoro e a incandescenti “secchioni” di metallo che sfavillano irrorando calore intenso, dà vita ad un quadro febbrile di attività umana.Sono i lavoratori della fonderia.
Quei lavoratori, cioè, per i quali non esiste, sino a questo momento, una particolare regolamentazione contrattuale.
Non si gridi allo scandalo di fronte a questa mia affermazione, né si risponda che per essi vigono norme precise di tutela in quanto esistono tabelle di minimi sia per coloro che  sono addetti ai getti di acciaio, considerati siderurgici, sia per quelli addetti alle fonderie di ghisa o di metalli non ferrosi, considerati meccanici.
Il presupposto di una regolamentazione contrattuale è quello dell’aderenza al ciclo di attività.
Ebbene, per me, i lavoratori delle fonderie non sono e non possono essere né siderurgici né meccanici.
Le fonderie hanno un aspetto del tutto particolare, sia per la tecnica che presiede al loro funzionamento, sia per la qualità delle maestranze che hanno una loro speciale caratteristica, non facilmente riscontrabile tra i lavoratori delle altre industrie.
Ecco perché si può affermare, senza tema di smentita, che tale categoria non può ritenersi soddisfatta della sua situazione contrattuale.
A Terni, dove la collaborazione e la logica presiedono ai rapporti tra i lavoratori e gli industriali, è da tempo riconosciuta la similitudine esistente tra le fonderie di acciaio e quelle di ghisa.
Così, anche in queste ultime, escluse le minori, è stato applicato il regolamento dei lavoratori siderurgici, di modo che anche il più modesto manovale partecipa al cottimo di squadra o di reparto.
Questo è già qualche cosa. Ma, anche se in una ottica panoramica del problema, la nostra situazione può ritenersi buona, non ci pare completa perché, anche con il contratto dei lavoratori siderurgici, non vediamo valorizzata in giusta misura , la responsabilità di lavoro, la capacità tecnica e l’elevato disagio fisico delle maestranze.
Coloro che sono abituati ad esaminare i problemi del lavoro con ordinaria superficialità o sono legati da spirito di parte, potranno pensare che si voglia giungere ad una supervalutazione di categoria.
Non è così!
Si vuole soltanto dimostrare, attraverso una visione completa, come l’attività e la tecnica di tale maestranza si distingua e si distacchi, dalla tecnica e dall’attività delle altre industrie metallurgiche.
Nelle fonderie il modellista ed il formatore acquistano la fisionomia di autentici costruttori. Alla base della loro attività c’è la conoscenza assoluta e sottile del disegno meccanico.
Senza corsi di perfezionamento, senza scuole industriali, senza lunghi tirocini che provocano severe selezioni tra gli allievi, la meta non si raggiunge.
Raggiunta che è, essa è radiosa perché immette i lavoratori nella cerchia degli uomini che si distinguono per capacità e per cultura.
Chi non resta meravigliato osservando la tecnica di un modellista che plasma cippi legnosi seguendo la teoria della meccanica costruttiva senza perdere di vista le inscindibili necessità della fonderia, per rendere più agevole e meno costosa la fatica del formatore ?
E come non meravigliarsi anche delle capacità del formatore che, spesso, soltanto con sagome e con il solo ausilio del modellista e del disegno, tira su, dal niente, una forma nella quale sarà colato un cilindro delle ferrovie, della marina, una carcassa di un grande motore e tanti, tanti altri pezzi grandiosi per mole e per bellezza di esecuzione ? Di questa fatica, veramente geniale e costruttiva, sono i dettagli che contano oltre l’insieme.
Senza la più scrupolosa osservanza di norme, che sfuggono alla normale pratica ed al senso logico del lavoratore, spesso in pochi minuti viene distrutto il lavoro di mesi.
Ecco perché si può affermare, senza tema di smentita, che tutti i lavoratori di una fonderia sono così strettamente collegati nella loro specifica attività. Qualunque insignificante frattura nella catena, significa il crollo di tanta ambiziosa attesa.
In questo settore, il manovale non può essere un manovale comune e non è un manovale comune anche se, con la scopa in mano, fa soltanto operazioni di pulizia.
Gli industriali della fonderia non si scandalizzino di questa mia affermazione. Essa è il nesso logico di una visione completa del problema.
Anche l’ultimo lavoratore, addetto alle pulizie, può generare un danno notevole con la cattiva riuscita della fusione. Bastano pochi granelli di materiale involontariamente immessi nel “bacino di colata” o nelle comuni “colate” perché sorga il difetto che fa considerare “scarto” il pezzo fuso.
Siamo nel settore di un’alta specializzazione, tanto lontana e tanto diversa da quella considerata oggi dai contratti di lavoro, che gli organismi sindacali interessati dovranno, alla fine, promulgare norme che si inquadrino realmente nell’ambiente di lavoro e nei sistemi di produzione. I capitani di tali industrie più di me sono intimamente convinti che  le obiezioni e le richieste di parte operaia sono basate su considerazioni logiche e meglio di me sanno che particolarmente laddove si producono getti di grosso tonnellaggio, l’apporto della capacità individuale e collettiva della maestranza è un fattore decisivo di tranquillità per i tecnici e per l’azienda. Non scivolo né intendo affrontare il problema del cottimo, che in tale settore quando non si esce dalla produzione in serie, eseguita con conchiglie o con macchine a formare, si presenta di difficile o di impossibile applicazione perché non possono essere considerate in preventivo tutte quelle impreviste difficoltà che si allacciano alla procedura tecnica e che sono collegate alla attrezzatura in genere non sempre disponibile in giusta misura. Affermo, invece, che trattandosi di autentica specializzazione la valutazione del rendimento è del tutto relativa anche perché ben poco incide il valore della mano d’opera sul costo di tale prodotto. E’ la qualità che conta, e per la qualità è indispensabile l’attrezzatura tecnica in stretta alleanza con la capacitò della maestranza. Conclusione, quando si arriverà a regolare i rapporti di lavoro di tale categoria non è sul funzionamento del contratto che regola e disciplina il lavoro a cottimo che vanno basate e indirizzate le conclusioni né sulle vigenti tabelle che fissano i minimi di paga ma il ragionamento dovrà spaziare più lontano ed investire nella visione panoramica di questa speciale attività, gli interessi specifici della aziende e quelli dei lavoratori nel clima di collaborazione creato dal Regime fascista per arrivare a quella giusta e equa soluzione invocata dalle maestranze  che si compendia, signori  industriali delle fonderie, nel vecchio detto :” Dai a Cesare quel che è di Cesare ”.
Maceo Carloni

 "Lavoro Metallurgico", a. III, n. 10, 15 ottobre 1941  - torna indietro -
“Il Cottimo e la sua funzione economica e sociale
"Lavoro Metallurgico", a. III, n. 10, 15 ottobre 1941

Sono, per quanto residente a Terni, un lettore de “Il maglio” di Torino ed ho seguito, sulle colonne del simpatico “Settimanale” dell’Unione dei lavoratori Industria, la “campagna” sull’utilità del lavoro a cottimo, sostenuta e indirizzata dall’ amico Rossi Francesco, con l’ausilio di altri intelligenti e bravi lavoratori di Torino.
Vedo che tali concetti, che non hanno trovato perfettamente d’accordo altri lavoratori della stessa città sabauda, sono scivolati sulle colonne de “Il Lavoro Metallurgico” ad opera dei camerati Pesaresi Bindo e Antonio Pantella, che difendono opposte tesi.
I rappresentanti dei metallurgici d’Italia, convocati a Bologna nella primavera del 1940, quando applaudirono le mie dichiarazioni contrarie al sistema di lavoro a cottimo, smentirono l’amico Pantella nella sua dichiarazione che tutti, o quasi tutti, i lavoratori d’Italia, siano per tale sistema di lavoro seppure disciplinato e semplificato come lo vorrebbero i camerati di Torino.
Ma, in quella occasione, per la brevità concessa ai lavori del congresso, non fu possibile illustrare il perché di questa mia convinzione.
I motivi sono di vario ordine, ma prima di ogni altro, vanno ricercati nella mentalità, ancora non rapportata ai tempi della maggiore giustizia sociale, di alcuni industriali Italiani, e di quella cerchia di uomini che gli fanno corona come aiutanti e dirigenti d’azienda, insieme ad una pleiade di altre creature che, in qualità di “tempisti”, rappresentano altrettante spine confitte nella carne del lavoratore.
Ma questo potrebbe essere un aspetto che il tempo, medicina sublime ma lunga nei suoi effetti, potrebbe guarire.
Ve ne sono altri di carattere fisico, politico, morale, ma ben più gravi nel loro aspetto e più costosi nella cura.
Si sono mai chiesti i camerati, che sostengono la necessità del lavoro a cottimo, come vive l’uomo addetto alla trasformazione del minerale, quello dei treni di laminazione, quello addetto alla fabbricazione dell’acciaio ?
Hanno mai visto girare i cilindri del treno latta e quello dei lamierini ?.
Hanno mai sentito il boato del treno corazze ?
Lo scricchiolio delle presse che comprimono l’acciaio con una forza che raggiunge 12.000 tonnellate, ha fatto mai vibrare la membrana del loro timpano ?
La miniera con le sue immense e buie gallerie, dove uomini attaccati alla roccia lottano con la morte, lo sterratore, al quale si impone un volume di produzione che fa restare attonito chiunque assiste al lavoro, è stata mai una visione dei buoni camerati di Torino ?
Non basta giudicare il cottimo e la sua funzione sociale quando essa è un’applicazione legata ad un ritmo conosciuto e calcolabile come l’attività meccanica, che è più signorile anche se trasportata nel settore della fonderia.
Camerata Pantella, bisogna vedere la funzione del cottimo in un quadro generale e nel quadro generale c’è l’uomo a torso nudo in un ambiente d’inferno che logora la sua esistenza, prima del cinquantesimo anno di età.
Mi si dirà, come si è detto, che tutto può essere disciplinato, tutto può essere convogliato verso foci che abbiano la limpidezza di una civiltà nuova.
Ma allora significa che lo sforzo del Regime Fascista, in fatto di legislazione sociale e di maturazione mentale della massa, ha raggiunto il suo più alto grado di perfezione. Di conseguenza tutto si svolgerà secondo un nuovo concetto di organizzazione che avrà, per legge, l’educazione del popolo, inteso come espressione non di classe sociale ma di elemento indispensabile alla ricchezza comune.
Oggi no, manca la maturazione.
Allora il cottimo è una espressione bruta del lavoro che serve soltanto a ingigantire la produzione, a danno della salute del lavoratore e della bontà del prodotto.
Volendo analizzare questa mia dichiarazione andrei molto lontano, tanto lontano che “Il Lavoro metallurgico” dovrebbe rinunciare a darmi ospitalità.
Le ragioni esposte, che non sono le sole, mi hanno fatto schierare da tempo contro qualunque forma di lavoro ad incentivo, mentre mi hanno fatto battere per legalizzare ed estendere il sistema di lavoro ad economia, espressione chiara ed evidente di civiltà.
Non si obietti, né da parte dei sostenitori del lavoro a cottimo, né da parte degli industriali, che il sistema di lavoro ad economia colpirebbe l’industria nella sua economia.
Tutti i problemi che interessano il popolo e lo Stato sono problemi di educazione.
Nulla può essere fatto con una massa che non sia immedesimata nella sua funzione sociale.
Nessun obiettivo può essere raggiunto se negli artefici non vige sovrano il concetto del dovere da compiersi.
Non è utopia questa! E’ soltanto una cosa, oggi, non completamente esistente.
Poiché, però, le nuove generazioni non hanno più analfabeti, le categorie sono inquadrate secondo i propri valori e le proprie capacità, tutto è convogliato nello Stato e controllato dallo Stato, non vedo perché questa maturazione mentale non debba essere, seppure a distanza di tempo, un fatto compiuto.
Ed allora, camerati ed amici di Torino, avremo vinto la brutalità che presiede alla fatica dell’uomo e che rappresenta un elemento di distruzione del suo fisico.
“Sorge il problema economico”, potrà dire il sostenitore del lavoro a cottimo.
Io penso di no!
E’ naturale che abolendo il lavoro a cottimo per istituire il sistema della retribuzione ad economia, crolla tutto, o quasi, l’attuale sistema contrattuale.
Di conseguenza sorge un problema nuovo ma che, essendo collegato all’operaio nuovo, consapevole che lavorando compie una funzione sociale, non sarà un problema insuperabile.
Il problema è quello di mantenere la capacità di rendimento, anche senza l’incentivo del cottimo.
Non parliamo dei guadagni. Essi in un Regime di popolo, dovranno fatalmente essere ragguagliati alle necessità dei tempi e dovranno assicurare, oltre alla casa decorosa, quanto occorre perché la vita sia trascorsa senza odiosi assilli e senza ristrettezze economiche che fanno, spesse volte, maledire l’esistenza.
Concludo con l’affermare che il sistema di lavoro a cottimo è un sistema di sfruttamento integrale delle possibilità produttive dell’uomo e che esso si risolve a danno della salute dell’uomo e della qualità della produzione.
Maceo Carloni
Operaio dell’acciaieria di Terni

 "Lavoro Metallurgico", a. IV, n. 9, 15.9.1942  - torna indietro -
La legge sul collocamento e la disciplina dei licenziamenti”
"Lavoro Metallurgico", a. IV, n. 9, 15.9.194

Siamo in tempo di guerra, viviamo cioè un periodo nel quale urge soltanto la mobilitazione degli uomini e degli spiriti, per vincere la grande battaglia che, conclusasi, dovrà determinare la premessa per gli sviluppi futuri della politica sociale.
Qualunque altro problema può essere rimandato, senza pregiudizio, per la sua risoluzione, ma intanto è ovvio ed opportuno gettare le basi e mettere un punto fermo per stabilire che la rivoluzione, la nostra rivoluzione proletaria, è in marcia per affermare che la guerra combattuta dal popolo italiano è della rivoluzione la più alta e significativa manifestazione di forza e di volontà.
Stabilita questa indispensabile premessa, perché essa fa parte del nostro spirito, passiamo ad esaminare il fenomeno del collocamento, fenomeno che si presenta adulterato e mutilato se lo scindiamo dall’altra manifestazione di potere la cui arma di difesa è formidabilmente stretta nel solo pugno del datore di lavoro: la disciplina dei licenziamenti.
  Non vogliamo inscenare processi né intendiamo stendere una opprimente cappa di sospetti sulla classe degli industriali, tra i quali vi sono autentici benemeriti della Nazione e del popolo. Vogliamo soltanto esaminare, al lume della logica, della giustizia e dell’esperienza,  vari e multiformi aspetti di quel secolare problema che è “il collocamento”, problema, che a nostro avviso, non può considerarsi risolto dalle leggi attualmente vigenti.
La massa dei lavoratori siderurgici non può sentirsi e non lo è, cautelata dalla disposizione contrattuale che dice: “per l’assunzione della manodopera  valgono le disposizioni di legge sulla disciplina nazionale della domanda e dell’offerta del lavoro” .
Soltanto il cultore della teoria ortodossa può entusiasmarsi sapendo i lavoratori cautelati dalle disposizioni di legge in materia di collocamento.
Tutto è relativo a questo mondo, anche le leggi.
E’ appunto intorno a queste leggi che si sbizzarrisce l’intelligenza di alcuni funzionari delle grandi industrie per neutralizzare la portata sociale delle stesse.
Praticamente, quando il capo di un ufficio del personale non vuole assumere un lavoratore, il lavoratore, con tutta la cautela delle leggi in materia di collocamento, resta nella fabbrica soltanto per il periodo di prova, dopo di che se ne esce “per non aver superato la prova” anche se è un autentico “architetto” del suo mestiere.
Questo è un aspetto, forse il meno importante, del problema.
Vi sono altri mezzi leciti ed illeciti, che trovano origine nella discutibile correttezza di alcuni funzionari.
Questi, probabilmente, avviliti dal fatto di non essere più, come un tempo, arbitri assoluti delle assunzioni, reagiscono come possono per dimostrare a se stessi più che agli altri, di avere ancora una vitalità ed un comando e per questa ragione di vitalità e di comando creano quella atmosfera d’ingiustizia dietro la quale ribolle lo spirito di reazione del popolo.
I mezzi di maggiore importanza di cui questi funzionari si servono, sono:
- la visita medica, arbitro della quale è il solo medico di fabbrica;
- gli accordi più o meno segreti tra gli uffici del personale di aziende residenti nella stessa provincia e attraverso i quali avviene lo scambio delle note informative;
-“ il libro nero” nel quale si segnala l’individuo che è ritenuto indesiderabile nella  azienda.
Analizziamo, al lume della giustizia e della logica, la portata dei mezzi sopra evidenziati.
Visita medica: perché, ci domandiamo deve essere arbitro il medico di fabbrica e non il medico dell’Ufficio provinciale delle Mutue che è un organo paritetico e quindi insospettabile ?
Accordi per lo scambio di note informative: è difficile avere la documentazione ma che tale scambio esiste è evidentemente provato dal fatto che un lavoratore uscito per un provvedimento disciplinare da una fabbrica, non entra in altre fabbriche locali, perché, con qualunque giustificazione, si trova il modo per lasciarlo alla porta.
Ed allora comincia la grande tragedia che spesso si conclude con fatti spiacevoli, mentre un maggior senso di giustizia ed una maggiore opera educativa avrebbero compiuto il miracolo di ridare, alla società ed al lavoro, individui moralmente sani anche se, per temperamento, non troppo disciplinati
Libro nero: qui siamo nel peggio. Cosa è questo libro nero? E’ una raccolta di note informative. Chi ha la disgrazia di esserci scritto non ha che una sola soluzione da prendere: preparare le valigie, avviarsi alla stazione, abbandonare terra, amici, famiglia, abitudini ed affetti ed emigrare in una provincia più amica dove “l’indesiderabile” si rivela ottimo ed assiduo lavoratore tanto da guadagnarsi anche posti di comando.
Ma perché è diventato indesiderabile?
Perché, il più delle volte, ha mostrato la sua intolleranza a certi comandi prepotenti, ha mostrato i denti a certe manifestazioni di disciplina che non sono altro che manifestazioni di arbitrio, ha discusso con troppo calore le tariffe e le retribuzioni del cottimo, ha contestato il ragionamento del capo con argomentazioni troppo intelligenti, si è ammalato con troppa frequenza, ha risposto sgarbatamente ad un guardiano il quale lo riprendeva con ancora maggiore sgarbatezza.
Avviene anche che si può finire nel “libro nero” per ragioni politiche, morali e di onestà, ma allora che libro nero andiamo cercando? Si licenzia consegnando il lavoratore a chi di dovere. La maestà della legge provvederà a fare il resto.
L’operaio non saprà mai di figurare nel libro nero. Se ne accorgerà soltanto perché, nonostante la legge sul collocamento, per lui la via del lavoro nella città natia sarà per sempre preclusa.
Il nostro ragionamento dimostra facilmente, con i fatti più sostanziali, come il lavoratore non può sentirsi cautelato dalla funzione legislativa del collocamento se essa non è completata da una precisa disciplina dei licenziamenti, (nota 1) dall’esame dei quali, l’organizzazione dei lavoratori non può né deve essere estromessa, senza grave pregiudizio dei suoi rappresentati.
Soltanto così la delicata funzione sociale del collocamento sarà completata e con essa sarà definitivamente debellato il residuo spirito di rappresaglia che guida ancora l’azione di quei funzionari che non hanno ancora compreso che il popolo, anche se in tuta, è lo Stato, perché lavora per lo Stato, soltanto per lo Stato e nulla complotta contro lo Stato. Per il che va tenuto e rispettato.
Maceo Carloni

"Lavoro Metallurgico", XX, 23 ottobre 1942  - torna indietro -
“Accorciare le distanze
"Lavoro Metallurgico", XX, 23 ottobre 1942

“Accorciare le distanze”  È una dichiarazione del Duce, anzi è la premessa del Duce per gli sviluppi futuri della politica sociale del regime fascista. È di conseguenza una certezza di domani; di questo i lavoratori sono convinti e attendono il maturarsi degli eventi di cui artefici sono i figli del popolo che su ogni fronte combattono contro la prepotenza armata per conquistare il loro avvenire.
Ma se le cose di questa terra assumessero gli aspetti che germogliano nella mente del capo, se ognuno preposto a posizione di comando ne sapesse interpretare la volontà creatrice, se gli uomini che governano il mondo economico italiano sapessero precorrere i tempi, se i pregiudizi di casta fossero realmente sepolti, se tutta la vita italiana fosse permeata dal verbo di giustizia, le distanze potrebbero essere accorciate anche se il cannone tuona sul mondo, anche se gli immani eserciti che si scontrano fanno sentire, oltre l’etere, il rombo delle battaglie che segna il passo alla marcia vittoriosa delle legioni proletarie.
Ma è questa ancora una vana speranza di uomini illusi dalla loro buona fede e dalla volontà di rendere sempre più grande la Patria sia pur sacrificandosi sino al possibile della resistenza umana.
Essi, cioè il popolo proletario, credono e combattono contro il nemico della civiltà e della giustizia che si ammanta di ermellino per difendere un privilegio di casta costituito da un obbrobrioso diritto ereditario di poche famiglie le quali intendono erigersi a padrone del mondo; come si ammanta del rosso mantello scaturito dal sangue versato dai popoli nelle lotte per la libertà, lotte che si sono sempre concluse col più nero e infame tradimento perché, dietro la Rivoluzione,  giganteggiava l’imperialismo plutocratico che soffocava nel sangue le aspirazioni del popolo.
Sono queste le rivoluzioni del popolo francese e del popolo russo dalle quali è scaturita soltanto la strage, mentre dalle rovine, più forte di prima e con radici più profonde e più robuste, sorgeva una nuova casta dominante che aveva per obiettivo finale l’asservimento del mondo.
Accorciare le distanze, non intendiamo, oggi, ricordando questa premessa del Duce, sconvolgere il nostro sistema economico per raggiungere questa tappa di giustizia.
Sappiamo per esperienza come intorno al reale sacrificio del proletario che sa stringere la cintola, sia pure borbottando, che sa sopportare senza rimpianto la mancanza di agi, di cibo e di qualunque comodità della vita, vive una vecchia, superata, decrepita famiglia di benestanti che soffre per la mancanza di sapone profumato, di vestiti provenienti dalla moda parigina o londinese, di cibi sani e sostanziosi, dell’impossibilità di frequentare le stazioni climatiche straniere e di non potere organizzare più i mercoledì e i sabati in uso negli ambienti tarati della media e grossa borghesia.
A completare il biasimevole quadro di questi inesausti tutori di un sistema di vita che non è quello di un popolo virile e degno del suo destino sorge una nuova, tarata, biasimevole e pestilenziale società di ricchi i quali, sorti dal sacrificio dei combattenti e da quello del popolo sano, hanno inconfondibili i segni che distinguono gli abietti profittatori di tale sacrificio.
Parlando di accorciamento di distanze, ripeto, non intendiamo in piena guerra correre l’avventura di riforme che potrebbero ripercuotersi sulla produzione bellica e sulla economia del paese.
Intendiamo solo ricordare agli immemori che si possono migliorare le condizioni del popolo assicurandogli un trattamento di maggiore giustizia, specie nel trattamento morale, anche se bagliori di guerra illuminano il mondo.
E quale è questa maggiore giustizia? Una più equa distribuzione di quei profitti che scaturiscono dal lavoro e un accorciamento delle distanze in tutte quelle manifestazioni esteriori che distinguono i rapporti tra le varie classi sociali e, ad esempio, la soppressione di quelle distinzioni tra il trattamento morale praticato ai dirigenti d’azienda, agli impiegati di “alta quotazione” e quella in atto per i lavoratori del braccio che, pur essendo gli artefici massimi della produzione e della ricchezza, sono pur sempre i derelitti e spesso i sopportati.
La guerra rivoluzionaria che si è estesa per il mondo ancora non ha provocato la rottura dei diaframmi che separano il popolo dalla realtà della vita. Ci si ostina da parte del capitalismo italiano, non ancora sufficientemente imbrigliato, a mantenersi in una situazione ambigua che impedisce il libero svolgimento di quella politica sociale che, fatalmente e contro la volontà di chiunque, raggiungerà i suoi obiettivi.
Ecco perché, nel pieno sviluppo della politica sociale del Fascismo, ancora sorgono i refettori di fabbrica dove delle sale ben addobbate ed elegantemente attrezzate, servono per la mensa degli impiegati, mentre dei grandi locali molto meno eleganti e qualche volta meno puliti servono all’operaio per consumare la sua modestissima razione. Ed ecco perché troveremo dei gabinetti di decenza per i lavoratori ai quali, supremo oltraggio, è tolta anche la “ porta di chiusura” mentre ne troveremo altri e per altre categorie dove tutto è predisposto per un ossequiente rispetto alle norme dell’igiene.
Ed ancora troveremo docce, bagni ed altro ben di Dio per chi è considerato “uomo di fiducia dell’azienda”, altra distinzione questa che offende la dignità e la moralità del lavoratore.
Accorciare le distanze, ossia dare al popolo una “maggiore giustizia sociale”, lo ha detto il Duce cosa significa: casa decorosa, salario equo, lavoro per tutti.
Questo deve essere ben compreso dal capitalismo italiano, al quale oggi noi del popolo affidiamo una sola ed alta missione.
Quella di potenziare la nostra difesa e la nostra offesa contro il nemico comune e al quale chiederemo domani il compimento di un’altra grande missione: rendere il lavoro meno pesante ai lavoratori ed assicurare veramente ad essi la casa decorosa, il salario equo, il lavoro per tutti.
Maceo Carloni
Operaio Acciaieria di Terni

"Acciaio", a. II, 16.02.1935  - torna indietro -
“Realtà e sviluppi futuri della mutualità
"Acciaio", a. II, 16.02.1935

Dalle mutue libere, che pure hanno avuto a Terni sviluppi impensati dimostrando come l’anima dell’operaio sia incline alla previdenza, si è passati alla regolamentazione delle mutue paritetiche, oggi riunite in Federazione Nazionale, che hanno convogliato verso la previdenza, la quasi totalità dei lavoratori Italiani.
E’ questo il segno della maturità sindacale delle nostre maestranze che, guidate da realtà sempre nuove e non da utopistiche promesse, camminano verso la conquista di mete sempre più elevate.
La mutualità, argomento sempre nuovo anche se per esso si siano consumati fiumi d’inchiostro, si presenta all’osservatore con aspetti sempre diversi, con finalità sempre più vaste.
Le mutue primordiali, che ebbero vita con la nascita della grossa e media industria, in Italia non potevano estendere la zona delle loro assistenza in confini troppo vasti perché ad esse mancavano un programma ben definito ed i mezzi per attuarlo.
Oggi, la previdenza, principio basilare delle organizzazioni sindacali, è in pieno sviluppo.
Dalla Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali, certamente non ancora perfetta ma perfettibile, alle mutue paritetiche, aziendali, interaziendali e professionali, è tutta una fioritura che pone l’Italia in linea con le nazioni della vecchia Europa, risalendo, a poco a poco, anche in questo campo, al posto d’onore che giustamente le compete
Un breve sguardo alla maggiore delle mutue paritetiche aziendali, cioè quella degli operai siderurgici, porrà indubbiamente l’osservatore in grado di valutare quanto, in tale campo, è stato realizzato e quanto ancora potrà realizzarsi.
Come tutte le mutue paritetiche è giovanissima di età, non più di tre anni di vita, ma, per le sue realizzazioni, frutto di una sicura maturità nel campo mutualistico ma soprattutto d’una modernità di vedute dei suoi amministratori, può considerarsi vecchia di esperienza. Nella nostra Provincia, ma certamente anche nei confronti delle altre province italiane, è da considerarsi la più sviluppata.
E’ già un anno che, vincendo le naturali resistenze di uomini interessati, è riuscita a dotare gli associati di un gabinetto per le cure fisiche mediante apparecchi per applicazioni diatermiche, di raggi infrarossi ed ultravioletti.
Chi tra gli operai non ha il triste ricordo delle varie centinaia di lire spese per poche applicazioni in gabinetti privati dove si recavano alla ricerca dei mezzi per neutralizzare gli effetti del male ?.
Oggi essi e le loro famiglie hanno nel gabinetto, già da un anno in piena funzione, la certezza di poter curare le loro malattie senza dover ricorrere alla ricerca affannosa di sussidi per poter pagare l’onorario richiesto dai professionisti locali, non sempre alla portata del modesto e… sempre vuoto, portafoglio dell’operaio.
Al gabinetto per le cure fisiche farà seguito, tra poco, il gabinetto odontoiatrico per la cura di tutte la malattie della bocca.
Questa, che non sarà l’ultima iniziativa del consiglio di amministrazione della mutua nel campo dell’assistenza operaia, deve giustamente entusiasmare gli associati che vedranno tutta l’utilità di questi organismi in piena fioritura, voluti dal Regime Fascista per assicurare al popolo la più ampia assistenza nel campo della  profilassi e della cura fisica.
Anche per il funzionamento di questa utilissima iniziativa, dovuta allo spirito di comprensione del Senatore Bocciardo ed al sentimento di alta fraternità verso il popolo del Segretario Federale, gli ostacoli non sono mancati né sono tutti superati.
Si capisce facilmente la ragione di essi.
Gli interessi di alcuni sono toccati. Col funzionamento del nostro gabinetto, le estrazioni, alle quali devono ricorrere gli operai per mancanza dei mezzi necessari alla cura, non costeranno più di 15 lire. Ed anche la modesta borsa dell’operaio sarà in grado di pagarsi le otturazioni e forse anche di pagarsi le applicazioni di denti.
Per questa opera di bene, siano gli operai riconoscenti agli uomini che, superando qualunque questione di forma, hanno raccolta la proposta del nostro Federale, dotando la mutua di mezzi sempre più idonei alla conservazione ed alla cura della salute.
Che importa di fronte al beneficio risentito da migliaia di lavoratori, il danno che ne deriverà ai quattro o cinque professionisti locali ?
La sanità della persona, secondo quanto affermano gli studiosi di igiene sociale, esige la perfetta osservanza delle norme igieniche per la conservazione dei denti.
I lavoratori non potranno osservare queste norme igieniche se i loro organismi mutualistici non si mettono in grado di funzionare in modo da poter sostituire con la propria opera quelle del libero professionista, quasi sempre legata a necessità economiche, anche giustificate, ma mai alla portata della economia operaia.
Da qui la necessità di estendere a tutti i lavoratori, di qualunque categoria ed alle loro famiglie, il beneficio della profilassi dentaria, sicuri con ciò di realizzare una delle maggiori aspirazioni dei lavoratori.
Le organizzazioni competenti, i consigli di amministrazione e tutti gli uomini interessati a rendere sempre più agile l’assicurazione degli operai contro le malattie, studieranno intanto gli altri problemi e li porteranno a soluzione.
Il tempo ed il miglioramento economico dei bilanci dovranno permettere ai responsabili di tale movimento, di apportare al funzionamento tutte le revisioni e le rettifiche, atte a dare la più larga assistenza agli associati di tutti i settori.
La carenza, già notevolmente diminuita, dovrà necessariamente scomparire. Il sussidio malattia non potrà restare alla bassa quota di oggi.
Dovranno sorgere provincialmente od interprovincialmente delle cliniche specializzate nei vari rami delle cure mediche o chirurgiche.
E perché non parlare anche dei convalescenziari?
Ne esistono già. Pochi e gestiti dalla cassa Nazionale, riguardanti, però, solo determinate malattie. Ne dovranno sorgere degli altri, i nostri, quelli della mutualità. Solo in questo modo le mutue paritetiche potranno dire di assolvere in pieno il loro alto programma nel campo della assistenza operaia.
Ed un certo equilibrio economico sarà anche  portato nel particolare settore della assistenza medica, oggi realmente gravosa ed insostenibile per i modestissimi bilanci dei lavoratori.
Per essi la malattia, anche se a decorso benigno, significa uno squilibrio economico, tale da sentirne il peso per mesi e mesi, qualche volta per anni.
Il progetto, voluto in tutti i campi dal Duce, non si arresta. I risultati raggiunti, sono solo i primi passi.
La mutualità, nata da anni ma da ieri funzionante in pieno, non arresta il proprio cammino. Tutti gli obbiettivi saranno raggiunti. E’ questione di tempo.
Maceo Carloni

 "Acciaio", a. II, 15.12.1935  - torna indietro -
“La Mutualità a Terni
"Acciaio", a. II, 15.12.1935

Nel campo mutualistico, in proporzione alla importanza del centro industriale in esso operante, Terni può vantare quasi certamente un primato che mette gli operai, particolarmente i metallurgici, in primo piano tra le Città consorelle d’Italia.
A Terni vivono associazioni di mutuo soccorso che, da un sessantennio, fanno sentire agli associati il beneficio incalcolabile della loro presenza, nei momenti tristi della malattia contratta, il più delle volte, in seguito all’esaurirsi del fisico nella debilitante fatica di ogni giorno.
E’ questo il sintomo migliore della rapida ascesa dei lavoratori di Terni verso quella elevazione spirituale e morale per cui, dal lontano 1922, le Organizzazioni Sindacali Fasciste svolgono tutta un’opera gigantesca, confortata dalla legislatura dello Stato, che ogni giorno di più evolve i lavoratori preparandoli a vivere nella nuova atmosfera dello Stato Corporativo.
Quest’opera di previdenza che gli operai hanno saputo volontariamente crearsi con regolamenti che, per quanto primitivi, rivelano un senso di orientamento profondo, è assurta ad importanza notevole.
Oggi gli operai possono vantarsi di essere in grado di integrare, con sommo profitto, il sussidio che ad essi compete nei casi di malattia dalle mutue paritetiche sorte per volere del Regime Fascista e controllate dalle Organizzazioni Sindacali.
Alcune di queste mutue primogenite estendono la loro assistenza in tutti i settori e garantiscono una pensione mensile in tutti i casi di invalidità o di cronicità, che integra quella già concessa dalla Cassa Nazionale per l’invalidità e la vecchiaia, che oggi, a troppo breve distanza dalla sua fondazione, non è ancora in grado di assicurare ai pensionati una cifra proporzionata  alle necessità che il vivere comporta..
Le mutue paritetiche, appena unite in Federazione Nazionale, sono l’espressione viva dello sforzo costante e della ferma volontà del Regime di assicurare al lavoratore la più larga assistenza nei momenti gravi della malattia. Esse rappresentano, nel nostro centro, il formidabile completamento di tutto l’organismo mutualistico pieno di vitalità che irradia il beneficio della sua assistenza alle maggiori categorie operaie di Terni.
Ma nel campo mutualistico e previdenziale i confini si confondono con l’orizzonte.
Il cammino percorso con ritmo accelerato, specialmente dal 1928 ad oggi, che ha permesso di regolarizzare, assicurandola, l’assistenza mutualistica a quasi tutte le categorie dei lavoratori d’Italia non è certo breve, né l’opera compiuta ha la pretesa di essere perfetta. Tutti gli organismi sindacali Fascisti sono tesi a revisionare e migliorare. Per questo è stata istituita l’attuale Federazione Nazionale.
Bisogna convincersi che la previdenza non rappresenta il sacrificio della quota mensile che ogni assicurato è chiamato a versare, ma è il radioso faro che illumina la buia notte del lavoratore, dando ad esso la tranquillità per sopportare i duri colpi del destino.
Si convincano, coloro che giudicano secondo la capacità del proprio portafoglio e non si rendono conto di quanto atroce sia la situazione dell’operaio, quando privo di lavoro, roso dal male, non può col proprio guadagno assicurare l’esistenza della famiglia e trascina per mesi, spesso per anni, le conseguenze economiche della malattia, che il sussidio corrisposto dalle mutue non può essere rappresentato dalla metà, e spesso meno, di quello che l’associato percepirebbe se la malattia non lo tenesse lontano dal lavoro.
L’assicurazione dovrebbe essere intesa, e lo sarà certamente, nel senso che alla famiglia venga garantito quel tanto che basti per sostenere le spese della malattia e per fronteggiare quelle necessarie al proprio sostentamento.
Non si parli quindi di restringere o di abolire certi organismi mutualistici esistenti, soltanto perché il sussidio da essi corrisposto, aggiunto a quello della mutua paritetica di categoria, va a formare un totale che di qualche soldo è superiore allo stesso salario giornaliero. Se questo avviene si rientra nell’ordine normale delle cose.
Non è vero che si speculi sulla malattia quando il sussidio permette una maggiore tranquillità.
Se anche si specula (una percentuale minima di disonesti esiste in tutte le categorie sociali) necessita studiare i mezzi per impedirlo, richiamando, qualora si rendesse necessario, il medico curante ad un maggior controllo sull’ammalato e l’ispettore ad una maggiore vigilanza, ma non rappresenti, la speculazione, la scusa per dimostrare la necessità del basso sussidio.
Speculazioni di ben altro significato e di altra portata sociale lo Stato fascista ha frantumato sul nascere. L’operaio è onesto e probo.
E così vedremo estendere l’assistenza ai membri della famiglia, allargare la concessione delle specialità medicinali, contribuire in forma più forte  alle spese ospedaliere e chirurgiche, alleggerire qualunque aggravio amministrativo, tendere alla istituzione di tutti quei mezzi di indagine atti a diagnosticare la malattia, a curarla, a guarirla ed anche a prevenirla.
A quanto sopra, supplirà certamente la costituita Federazione delle mutue paritetiche. A dirigerla è stato messo l’onorevole Bonfanti che conosce molto bene i problemi della mutualità e molto bene conosce il formidabile organismo mutualistico ternano, per cui si può ritenere, per certo, che l’avvenire segnerà ancora una volta un passo in avanti verso le radiose mete
della più alta giustizia sociale.
Maceo Carloni

“Il Lavoro Metallurgico”  - torna indietro -
“L’assistenza farmaceutica ai lavoratori mutuati” 
“Il Lavoro Metallurgico”

Il tema è stato ampiamente sfruttato dagli studiosi della mutualità così come dai medici. Non è mancato nella polemica l’intervento diretto del mutuato e di alcuni dirigenti la Federazione Nazionale delle mutue dell’industria. Risultato, da considerarsi soddisfacente come fase iniziale, è stato l’elenco delle specialità che la Federazione Nazionale ha trasmesso alle mutue consociate, affinché, entro quei limiti, i mutuati avessero l’assistenza specialistica che reclamavano.
Il problema, secondo alcuni superficialisti, si vorrebbe intendere superato.
Anche tra gli stessi dirigenti provinciali della mutualità l’elenco è ritenuto completo e ci si affanna a dimostrarlo ai mutuati, niente affatto convinti di chiarimenti che, goccia a goccia, vengono forniti dai medici o dai funzionari delle mutue.
Perché insistere nel voler dimostrare che tutti i preparati speciali, ricostituenti o specifici sono sostituibili dal preparato galenico?
E’ d’altro canto difficile dimostrare che la sostituzione delle specialità medicinali col preparato galenico rappresenti una reale economia per il bilancio della mutua.
Sono i farmacisti che parlano e che dicono, contro i loro stessi interessi, come sarebbe più conveniente spendere in molti preparati speciali anziché in quello galenico che li sostituisce.
Nella vita pratica di ogni giorno abbiamo potuto constatare come molti preparati galenici espettoranti costino molto di più delle buone specialità medicinali oggi in commercio.
Ed altrettanto si può dire se entriamo nel campo dei comuni ricostituenti a base di lecitina, colesterina, mineralizzanti, ecc…
Quante volte non si è praticamente verificato il paradosso di negare al mutuato una specialità, che non costa oltre le 10 lire, per sostituirla con un preparato che grava la mutua d’una spesa doppia se non tripla ?
Si dirà, da parte di coloro che sostengono la necessità di restringere le prestazioni specialistiche farmaceutiche, che molta più garanzia curativa offre il preparato galenico, perché dosato secondo la costituzione del malato, per cui può essere giustificata la maggiore spesa che grava la mutua.
E’ un errore non essere sufficientemente espliciti al riguardo.
La specialità offre, e, di questo è convinto il popolo ed anche il mondo intellettuale, tutte le garanzie di buona preparazione, è passata al vaglio dello Stato, ha formato oggetto di ricerche e di esperienze, il risultato curativo è stato seguito nella sua applicazione pratica dal medico curante. Il quale, se è di coscienza come non si può né si deve dubitare, quando prescrive la specialità è convinto di contribuire al risanamento fisico del paziente sulla cui guarigione influisce un fattore psicologico di altissima importanza: la fiducia nel medico e nella medicina.
Così non può dirsi del preparato galenico la cui “bontà”, il cui dosaggio e la stessa qualità sono legati sia alla scienza, alla conoscenza e alle possibilità economiche del farmacista, per quanto riguarda i rifornimenti, sia alla valentia del medico che prescrive il preparato.
Ma resta da esaminare anche l’aspetto morale di questo problema ed è il risultato psicologico che consegue alla sostituzione di una medicina speciale con un’altra di ricettazione galenica.
Anche se la sostituzione rappresenta un miglioramento curativo, essa è male accolta dal mutuato, che la respinge imprecando perché egli crede soltanto nel medico di fiducia che si è prescelto.
Non si dica che questo è il prodotto di una “ bassa educazione mutualistica”.
Si offenderebbe il popolo e con il popolo si offenderebbero anche gli uomini della cultura, delle professioni, delle arti, della politica.
Tutti gli esseri viventi hanno un sovrano rispetto della salute fisica. Pur di mantenerla inalterata, non esitano a ricorrere agli uomini di scienza, a trangugiare qualunque medicina, a consultare uomini e donne conosciuti e additati dal mondo vivente come miracolisti.
Ma non intendo scivolare fuori dal seminato, mi ritiro nei confini della mutualità e affermo che tutte, dico tutte le medicine speciali, devono essere concesse ai mutuati quando esiste regolare prescrizione del medico curante.
Il medico, uomo di scienza, che è stato autorizzato da una università del nostro Regno a curare il popolo ed ha accettato questa altissima responsabilità, ha frequentato una “scuola” alla quale è particolarmente affezionato ed ha tutto un suo sistema curativo legato all’insegnamento di qualche illustre maestro, non intende rinunciare alla sua formazione in omaggio a quel ricettario obbligatorio imposto dalla Federazione Nazionale.
Ne conseguirà che, per rispetto della sua coscienza di medico, egli prescriverà le medicine più idonee alla cura del paziente e questi dovrà rinunciare o all’assistenza farmaceutica di cui ha diritto, o al consiglio del suo medico di fiducia.
La situazione è più grave di quello che sembra anche se si vuole dimostrare il contrario ed anche se  alcuni dirigenti di parte operaia hanno il coraggio di affermare che l’assistenza farmaceutica può, anche oggi, ritenersi completa.
Io, che come operaio vivo nella officina, posso affermare, e sarà difficile smentirmi, che la massa dei lavoratori preferisce pagare un contributo maggiore ma garantirsi una assistenza completa.
Poiché parlare di assistenza specialistica in fatto di medicine e pretenderne l’estensione a tutte le specialità, senza esaminare e risolvere il problema economico che ne consegue, sarebbe una vera dimostrazione di demagogia, affermo che le organizzazioni sindacali dovrebbero riguardare il problema nel suo complesso, per arrivare alla soluzione logica che si impone: “irrobustire il sistema economico della mutua e con essa irrobustire tutto il sistema assistenziale”.
Non sarà difficile trovare una soluzione e credo che essa si possa rendere attuabile anche senza gravare sulla tasca dei lavoratori.
La imminente fusione di tutti i sistemi mutualistici darà, indubbiamente, come primo risultato, una enorme economia nelle spese generali che andrà a profitto dell’assistenza.
Una maggiore propaganda e una maggiore disciplina, nonché un trattamento economico più equo ai dottori, farà di questi altrettanti difensori della mutualità.
Da tutto ciò dovrà conseguire una enorme economia nelle spese per indennità di malattia come pure nelle spese farmaceutiche, perché saranno eliminati sia doppioni curativi, sia inutili e dannosi sprechi nella assegnazione di medicinali.
Soltanto se tali economie si riveleranno insufficienti, si esaminerà la possibilità dell’aumento del contributo ma, in questo caso, si dovrà anche stabilire se non sia più giusto e più equo gravare sulla borsa del datore di lavoro, dal momento che questo è il più interessato ad avere una maestranza sana e con alta capacità di rendimento.
Dal mio ragionamento si può trarre una immediata conclusione che assume un alto significato politico e che di seguito cerco di esplicitare.
Con organismi che, con loro struttura, non dimostrano la capacità di risolvere  i problemi in maniera globale, la propaganda di convinzione  delle masse si rende pressoché impossibile e particolarmente in materia di assistenza. La propaganda è facile soltanto se ad essa fa seguito un complesso di risultati atti a consolidarla.
Urge, pertanto, risolvere il problema delle specialità medicinali perché questo problema è il cervello motore della mutualità, è la parte più facilmente assimilabile e più compresa dai lavoratori.
Essi apprezzano la funzione poliambulatoriale delle mutue, l’assistenza medica e specialistica, quella ospedaliera e chirurgica ma, più di ogni altra cosa, apprezzano quella farmaceutica perché è la più costosa ed anche perché è quella alla quale si attacca l’ammalato ansioso di realizzare una rapida e completa guarigione, oppure di precorrere l’assalto del male con una energica azione curativa.
Questo egli chiede e questo aspetta.
Maceo Carloni                   

 “Acciaio” 17.11.1934  - torna indietro -
“Insegnamento professionale”
“Acciaio” 17.11.1934

Argomento d’attualità ? Se si dovesse trarre la conclusione del realistico stato delle cose, si dovrebbe supporre che l’argomento non è certamente… all’ordine del giorno.
Esso fu trattato nella riunione dei Dirigenti Sindacali alla “Casa del Fascio” presieduta dal Segretario Federale e fu anche sfiorato in moltissime altre occasioni, ma la Scuola, la caratteristica Scuola dalla quale dovrebbero uscire gli artigiani della nuova era, è ancora una accesa speranza dei lavoratori di Terni, dei vecchi, cari lavoratori che forgiano la loro anima alla fatica di ogni giorno e che dall’adolescenza, dinanzi alla fumante forgia, al traballante tornio, al banco rude d’aggiustaggio, su disegni non ancora completi e a macchine d’ogni forma, imparano il loro mestiere, sfrondato d’ogni teoria, ma largo d’ogni praticità, formando quella maestranza così provetta da far guadagnare a Terni l’ambito onore di essere considerato il centro industriale più perfezionato, nella grossa meccanica e nella siderurgia.
Occorre, anche a Terni, superare le difficoltà inevitabili, trovare i mezzi economici necessari, riformare, se occorre, il programma di insegnamento alla Scuola Industriale, rendendolo più omogeneo alla pratica necessità del lavoro, ma soprattutto creare nuovi ambienti, nuove aule, dove, di giorno o di sera, la gioventù operaia possa trovare il maestro che insegni loro quello che i loro padri impararono, perché la tradizione di Terni Industriale mantenga quel primato che la tecnica dei dirigenti e l‘intelligenza degli operai gli hanno fatto guadagnare.
Chi vive la vita dell’operaio sa perfettamente che la maggiore preoccupazione dei datori di lavoro è quella di vedere invecchiare la maestranza senza che a fianco di essa sorga la nuova giovane legione, pronta a sostituire la stanca attività dell’operaio anziano.
Tale fenomeno va ricercato nella mancanza di insegnamento, è vero, ma anche, è bene affermarlo, nelle condizioni salariali in cui è messo l’operaio qualificato e specializzato che spesso non differiscono di molto da quelle dell’operaio comune.
E se tale preoccupazione esiste, perché lo stesso datore di lavoro non sente il bisogno di affiancare o di precedere l’attività che su questo campo sarà chiamata a svolgere la Segreteria Federale ?
Esistono dei Dopolavoro Aziendali che svolgono encomiabile attività nel campo sportivo ed artistico; perché non allargano tale attività nel campo professionale, istituendo, con i propri mezzi, con il personale tecnico che hanno a disposizione ed anche con le officine, molte chiuse alla sera, quel ciclo di insegnamento che praticamente darà ad essi una maestranza sempre più attrezzata ?
Perché operai invecchiati in certe officine non conoscono le operazioni tecniche eseguite in altre, nello stesso stabilimento ?
Perché non si fanno conoscere alle maestranze ternane certe lavorazioni istituendo delle visite settimanali agli stabilimenti che, debitamente illustrate da tecnici, darebbero certamente ottimi risultati ?
L’argomento è vasto, la discussione è aperta.
Molti, meglio del sottoscritto, operaio, potranno illustrarlo.  Lo facciano.
Le giovani maestranze operaie di Terni aspettano e sanno che non aspetteranno invano.
Il Segretario Federale ha promesso.
Gli operai, che in esso vedono il centro di ogni attività e l’interprete fedele ed entusiasta degli ordini del Grande Capo, sono certi che anche questa speranza sarà una realtà di domani.
Maceo Carloni

 “Il lavoro siderurgico”  30.6.1942  - torna indietro -
“ Prima e dopo”
La politica sociale del Fascismo
Ci riferiamo al periodo della lotta di classe
“Acciaio” 17.11.1934

Tutta la vita industriale del nostro paese, vista al di fuori dei limiti imposti dal semplice esame di categoria, è tipicamente soggetta a influenze politiche straniere e, con le politiche, è legata a sistemi che non sono tipicamente italiani, cioè formati e vivificati dal nostro temperamento e dalla nostra intelligenza.
La sorgente organizzazione industriale sembra compressa nel suo apparato respiratorio, anemica nella sua conformazione sanguigna, senza iniziative proprie e con un capitale controllato dalla banca straniera.
I nostri giacimenti minerari, anche se ricchi di storia e di materia prima, venivano regolarmente “declassati” come qualità, qualità che veniva trascurata e dimenticata anche quando l’abbondanza concessaci dal buon Dio non era davvero trascurabile.
Quante volte i giacimenti dell’Elba non sono stati dati per esauriti e quante volte si è detto che il carbone del Galles non poteva essere sostituito da quello dell’Arsa?
E quante volte si è decretata la condanna a morte delle nostre miniere di lignite e di torba, considerando lo sfruttamento non conveniente per gli interessi dello Stato, mentre non lo era soltanto per gli interessi del plutocratico capitale anglo-franco americano?
I metalli leggeri, i cui giacimenti di bauxiti, leaciti e magnesio, ricoprono gran parte delle nostre province, erano lasciati nel più completo abbandono dall’egoismo dell’alta finanza italiana, mentre tutta la politica industriale americana, inglese e tedesca iniziava ed indirizzava la nuova industria siderurgica dei metalli leggeri, potenziandola sino al punto di assorbire parte dei nostri minerali e di installare impianti sul nostro suolo.
Giuochi misteriosi di uomini che, mentre agitavano la bandiera della nostra nazionalità, pugnalavano lo sviluppo economico della Patria, che avrebbe consentito un migliore ordine sociale ed una totale indipendenza politica.
E’ chiaro che, in quel clima di egoismi e di incomprensione, sorgesse l’equivoco italiano del bolscevismo che tanto ha turbato la nostra vita nazionale e al quale non può non riconoscersi la sola benemerenza di essere stato causa ed origine del sorgere del Regime Fascista.
Da questo momento, il capitale si riconcilia con il lavoro ed il lavoro si riconcilia con la Patria.
Sorge un nuovo ordine sociale.
Tutto per lo Stato, nulla contro lo Stato.
La lotta di classe è sostituita con la collaborazione di classe, le serrate e gli scioperi sono puniti dalla legge.
Sorgono le associazioni sindacali, che si perfezionano e diventano, il tre  aprile 1926 organismi giuridici. 
Andiamo rapidamente verso lo Stato corporativo.
Il lavoratore non è più visto come una manifestazione bruta della sua capacità di rendimento. Egli è innalzato allo stesso piano del capitale. Entra a far parte viva ed operante di tutte le attività. Non più una parte insignificante ma è un elemento indispensabile per la potenza e la ricchezza comune.
L’analfabetismo è combattuto e vinto.
Lo studio è  imposto a tutti come dovere sociale, si perfeziona la scuola.
Si bonifica la terra e si fondano le città.
Il capitale è liberato dalle influenze straniere, le iniziative sono tutte programmate, le speculazioni soffocate.
Il risparmio del popolo italiano è difeso e sorretto dalle leggi.
Il popolo autentico che lavora “duro, secco, sodo”, entra sempre più nei misteri di tutti gli organismi politici ed economici dello Stato. Discute  su un piano di parità con il capitale, imprime alla vita delle associazioni il tono che deriva dalla sua capacità e dalla sua volontà, imbrigliata e guidata dalla fede e dalla giustizia.
I privilegi di casta sono abbattuti.
Il capitale, che doveva servire a soggiogare le masse, serve oggi ad esaltarne la volontà costruttiva e l’intelligenza esecutiva, nell’ambito delle necessità nazionali.
Tutte le nostre ricchezze, anche le più modeste, trovano braccia e capitale per essere sfruttate.
I giacimenti dell’Elba non sono esauriti ed altri sono ricercati e trovati.
Il metallo leggero è salito al posto d’onore. Con esso è stata potenziata la nostra Marina, il nostro Esercito, la nostra Aviazione.
Il carbone del Galles è rimasto nelle  gallerie.
Sono sorte le nostre industrie e sono state potenziate dalla nostra intelligenza e dalla nostra volontà.
Le ferrovie camminano con la nostra elettricità.
La riduzione del minerale di ferro e la fusione nei “martin” è eseguita con cok di lignite e di conseguenza sono salite in primo piano quelle miniere che sembravano languire e morire.
Il capitano d’industria non è più il “padrone” che lavora per la ricchezza sua e di pochi, ma è l’uomo che lavora per lo Stato, cioè per la ricchezza di tutti.
La concorrenza che, una volta, sviliva il valore economico e tecnico della manodopera è stata  imbrigliata e disciplinata dalla funzione dei Consorzi.
I Consorzi dovranno sempre più perfezionarsi per svolgere la loro opera economica a difendere equamente gli interessi di tutti i produttori, sia della piccola come della grossa industria.
Miracolo della collaborazione di classe e della maggiore levatura spirituale e morale del popolo.
Dove sembrava che dovesse imperare in eterno il buio della ignoranza e della impotenza costruttiva, è sorto tutto un sistema nuovo che ha creato l’indipendenza economica dello Stato e con essa l’indipendenza politica.
E’ sorta una nuova Era, un’ Era di pace con giustizia.
Maceo  Carloni
Operaio dell’acciaieria di Terni

Note:
1) Disciplina che è stata introdotta nell’ordinamento giuridico italiano trenta anni più tardi, con legge n°604 del 15/6/1966 - torna su

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