MACEO CARLONI
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Sindacalista negli anni del fascismo

Nato a Terni nel 1899 da famiglia operaia, Maceo Carloni studia nella Regia Scuola Industriale, ove nel 1914 consegue il diploma di modellista per fonderia. Nel 1917 sposa la coetanea Rita Raggi, che gli darà quattro figli. L'anno dopo, a soli diciannove anni, viene chiamato alle armi e partecipa alle vicende conclusive della Prima Guerra Mondiale, imbarcato sull'"Andrea Doria" con la flotta italiana del Mar Nero nella Campagna d'Oriente. Rientrato a Terni nel 1921, viene assunto al reparto fonderia delle Acciaierie, come operaio modellista.
La sua formazione politica è mazziniana, leggi il documento come quella del fratello maggiore Oberdan e del padre Enrico, da cui ebbe il nome "Maceo" in ricordo del martire della lotta di liberazione di Cuba dalla dominazione spagnola, generale Antonio Maceo. Ad essa si manterrà sempre fedele, tanto da custodire segretamente fino alla morte una bandiera italiana recante la sigla "PMI" (Partito Mazziniano Italiano: ndr). leggi il documento

Come repubblicano prende parte alle prime schermaglie politiche che si svolgono a Terni nel dopoguerra, opponendosi sia ai socialisti che si ispirano alla Russia bolscevica, sia ai loro avversari fascisti. Nel 1922 si iscrive al Sindacato fascista dei lavoratori dell'industria e inizia la sua attività di sindacalista, dapprima come Capo Gruppo degli Operai Metallurgici, poi, in successione, come Segretario del Sindacato Provinciale degli Operai Siderurgici, come membro della Giunta Esecutiva della Federazione Nazionale Fascista Lavoratori Industrie Meccaniche e Metallurgiche, del Consiglio Nazionale delle Corporazioni e del Consiglio Provinciale delle Corporazioni di Terni, della Sezione Industriale del Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa e del Consiglio Provinciale per l'Istruzione Tecnica, nonché come Amministratore delegato della Cassa Mutua Malattia Operai Siderurgici, e, tra il 1935 e il 1936, come Commissario straordinario del Circolo Dopolavoro "Corridoni".
Per dieci anni ricopre la carica di capo del Gruppo Marinai d'Italia. Solo nel 1932 prende la tessera del partito fascista, usufruendo della riapertura delle iscrizioni per gli ex combattenti. (nota 1)

Nel biennio 1930-1932 la "Terni" attraversa un periodo di crisi che determina la chiusura di reparti e licenziamenti di operai, fino a far paventare la chiusura delle Acciaierie. La situazione migliora negli anni immediatamente successivi, tanto da portare, tra l'aprile del 1934 e il luglio del 1935, a un forte incremento degli occupati. Sono anche gli anni in cui si instaura una stretta collaborazione tra il PNF e il sindacato, collaborazione che porta a un miglioramento materiale e morale delle condizioni di lavoro e a un rafforzamento delle misure di assistenza e di protezione degli operai.
Rilevante e testimoniato dalle cariche sindacali da lui via via ricoperte si rivelò in quel biennio e negli anni successivi il ruolo di Maceo Carloni nella difesa degli interessi materiali e morali del ceto operaio. Incisiva fu, in particolare, l'attività di pubblicista da lui svolta su "Acciaio" e "Lavoro Metallurgico" con articoli esenti da condizionamenti di natura politica e contrassegnati spesso da spirito apertamente antiborghese. (nota 2)

Su "Acciaio" (settimanale della Federazione dei Fasci di combattimento) nel dicembre del 1934 egli scrive l'articolo "Questioni sociali. Lavoro e lavoratori", per condannare lo sfruttamento delle donne e dei fanciulli: Ed intanto la donna e il fanciullo seguitano ad essere occupati in lavori nocivi alla loro integrità fisica in barba a tutti gli appelli e a tutte le propagande sulla necessità di avere una razza sana nel corpo e largamente demografica. Colpa del sistema della concorrenza, che si risolve, quasi sempre, nella ricerca affannosa di ridurre il costo della manodopera, sia procedendo alla sostituzione della maestranza adulta con quella minorile o femminile, sia procedendo al licenziamento graduale degli operai per riassumerli con paghe notevolmente ridotte.
(leggi articolo)

Sullo stesso foglio Carloni pubblica l'articolo "Diritto al lavoro", per difendere il diritto al lavoro dei liberati dal carcere, degli invalidi e dei mutilati del lavoro: Quasi sempre nei soggetti che già vissero calpestando le norme del vivere civile esiste un fondo di sensibilità per cui nelle officine, per disciplina e produttività, nulla hanno da invidiare agli stessi camerati, immuni da contagio criminale, che affiancano la loro fatica. È quindi dovere dei datori di lavoro associarsi a questa opera di redenzione umana, vincendo, per questo, tutti i pregiudizi per i quali, fino a ieri, i liberati dal carcere erano guardati come reprobi della società e dovevano vivere lontano da essa, nell'ambiente malsano e viscido che segnò la loro degradazione morale. Opera santa, quindi, quella dei Patronati per l'assistenza ai liberati dal carcere. E, dopo aver definito i mutilati del lavoro e i mutilati di guerra come ...la fulgida schiera degli eroi e dei martiri che hanno dato e sono pronti a dare ancora parte della loro carne, invita i datori di lavoro ad aprire le porte delle loro officine e.... a fare largo ai relitti del lavoro. (leggi articolo)
Nel gennaio del 1935 Carloni scrive su "Acciaio" un articolo in cui invoca il riconoscimento del diritto al lavoro per coloro che non sono nella condizione di effettiva e completa efficienza fisica: ...con la crudezza che, negli affari, non lascia posto alla voce del cuore, si nega a queste persone, colpite da un infausto destino, la gioia del lavoro, menomando in pieno lo stesso diritto alla vita... Eppure molti di questi uomini portano sulla carne il segno della loro dura fatica. Ancora hanno negli occhi l'attimo che precede il momento fatale e, pur martoriati, non chiedono un'assistenza per sé e per le loro famiglie, chiedono soltanto lavoro... È cosa sicura che il Regime fascista correggerà anche queste ultime ingiustizie sociali, ma, prima ancora che il Regime sia chiamato a legiferare, perché non seguire la voce del cuore ed aprire le braccia a questa schiera, dando ad essa la suprema gioia che solo il lavoro sa concedere nella continua altalena della vita? (leggi articolo)
In "Assegni famigliari e collocamento" Carloni esalta le funzioni della Cassa Nazionale di integrazione degli assegni famigliari. Questo organismo economico – egli scrive – la cui portata sociale non può sfuggire all'esame dei giusti e degli onesti, è quanto di più grandioso era possibile concepire per migliorare, od almeno mantenere, la condizione economica delle famiglie più prolifiche. Di coloro, cioè, che anche in questo campo rispondono pagando di persona con tutta una esistenza segnata dal sacrificio di ogni giorno. È l'anima del popolo che si rivela in tutte le manifestazioni dove il prestigio e la potenza della nazione sono in gioco. Nel mondo elegante, dove è necessario mantenere la linea per fare sfoggio di costose toilette o per esporre, in eleganti salotti, la nivea bianchezza di carni fragranti, non è raro sentire sarcastici commenti alla miseria generata nelle famiglie operaie da una numerosa figliolanza. Ma nel mondo non è il popolo che parla. Dove non parla il popolo, che al lavoro chiede la ragione della sua esistenza e della sua fierezza, quel popolo rappresentato dall'operaio, dal professionista, dallo scienziato e dall'impiegato, spesso chiamato ad una vita ancora più grama di quella dell'operaio stesso, non c'è lo spirito della Nazione. (leggi articolo)

L'anno seguente, affrontando il problema delle condizioni igieniche dei luoghi di lavoro, egli auspica un più incisivo controllo da parte degli ispettori della sanità pubblica ...particolarmente in certe officine dove il criterio direttivo è legato alla mentalità del passato, a quella mentalità chiusa e antimodernista la quale crede di aver insultato un uomo quando lo ha chiamato facchino, spazzino o più genericamente operaio. Più avanti, egli denunzia l'insufficienza, nelle officine, di adeguati spogliatoi, bagni, docce e latrine igieniche, e invoca la punizione senza pietà dei datori di lavoro insensibili alle necessità igieniche delle loro maestranze.  (leggi articolo)
L'attività sindacale guadagnò a Carloni l'universale stima dei lavoratori. Quanto alto ne fosse il prestigio è testimoniato dal biglietto di commiato che gli inviò il Vescovo di Terni, Mons. Cesare Boccoleri, all'atto del suo trasferimento alla diocesi di Modena:
Terni, 1° aprile 1940.XVIII. Illustre e Car.mo Carloni, di rado ho provato soavi, intense commozioni simili a quella che mi ha procurato la Vostra lettera. È un capolavoro di gentilezza e di comprensione. Il popolo ternano deve forse qualche cosa a me, ma assai più a Voi, che con azione assidua, prudente e generosa avete elevato il suo spirito e nobilitato il suo lavoro. Vi ringrazio di cuore ed auguro ogni bene a Voi, alla Vostra famiglia e a quanti tanto degnamente rappresentate. Dev.mo, Aff.mo Cesare Boccoleri Arcivescovo di Mantova.
(nota 3) leggi il documento
È testimoniato, inoltre, da quanto su di lui scrisse nel dopoguerra l'ex Prefetto di Terni, Giovanni Maria Formica, in un articolo pubblicato sul periodico "Il Pensiero Nazionale: Di grande ausilio alla mia opera mi fu la collaborazione del compianto capitano Cagli, segretario provinciale dei Sindacati dell'Industria, e dell'operaio delle Fonderie, Maceo Carloni. Il Carloni fu trucidato nei tristi giorni della 'liberazione'; ignoro i motivi per cui egli subì la orribile sorte; per le sue doti di onestà, serietà, capacità e, soprattutto, per la coraggiosa difesa sempre esercitata dei diritti dei suoi compagni di lavoro, nelle elezioni del 1934 lo avevo proposto per la inclusione nella lista dei deputati e conservo di lui il migliore ricordo. leggi il documento

Con legge 19/1/39, n° 129, fu istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, di cui erano automaticamente chiamati a far parte i componenti del Consiglio nazionale del partito Nazionale Fascista e quelli del Consiglio Nazionale delle Corporazioni (ad eccezione dei Senatori del Regno e degli Accademici d’Italia). Sebbene fosse da tre anni componente del Consiglio Nazionale delle Corporazioni (nota 4) e avesse quindi il diritto, per legge, di partecipare alla vita del nuovo organismo, Maceo Carloni ne fu escluso per volontà del Regime. E a nulla valse l’intervento a suo favore di Tullio Cianetti (suo collega nel Sindacato, futuro Ministro delle Corporazioni e membro del Gran Consiglio del Fascismo). Ciò avvenne per la parte da lui avuta nella vicenda di un operaio comunista, Severino Carini che, licenziato dalla “Terni”, era stato reintegrato nel posto di lavoro per l’intervento del Sindacato
(nota 5) : fatto che trova conferma nelle concordi testimonianze rese, nel processo per l’omicidio, dai M.lli della polizia politica Umberto Capati e Orlando Bacherini: “Maceo Carloni si iscrisse al Fascio nel 1933, ma le prove di attaccamento alla politica fascista furono negative, perché aiutò e sistemò molti confinati e perseguitati politici”. (leggi - "Il processo per l'omicidio"-)
 Durate la guerra scrive, in diverse occasioni, sul giornale "IL Lavoro Metallurgico".
Nel gennaio del 1942, nell'articolo "La Regolamentazione contrattuale per i lavoratori delle fonderie", egli evidenzia la necessità di una normativa specifica per i lavoratori delle fonderie rispetto a quella generale in vigore per i dipendenti delle aziende siderurgiche, stante l'intrinseca diversità delle loro mansioni. (leggi articolo)
Nell'ottobre del 1941 prende ferma posizione contro il lavoro a cottimo, che qualifica come ...un sistema di sfruttamento integrale delle possibilità produttive dell'uomo... Si sono mai chiesti i camerati che sostengono la necessità del lavoro a cottimo, come vive l'uomo addetto alla trasformazione del minerale, quello dei treni di laminazione, quello addetto alla fabbricazione dell'acciaio? Hanno mai visto girare i cilindri del treno di latta e quello dei lamierini? Hanno mai sentito il boato del treno corazze? Lo scricchiolio delle presse che comprimono l'acciaio con una forza che raggiunge 12.000 tonnellate ha fatto mai vibrare la membrana del loro timpano?; la miniera con le sue immense e buie gallerie, dove uomini attaccati alla roccia lottano con la morte, lo sterratore, al quale si impone un volume di produzione che fa restare attonito chiunque assiste al lavoro, è stata mai una visione dei buoni camerati di Torino? (leggi articolo)
Su "Il Lavoro Metallurgico", inoltre, egli stigmatizza l'uso da parte delle aziende di mezzi illeciti per sbarazzarsi di dipendenti indesiderati, primo tra tutti il cosiddetto "Libro nero", ossia la raccolta di note informative sul lavoratore: Chi ha la disgrazia di esserci iscritto non ha che una sola soluzione da prendere: preparare le valigie, avviarsi alla stazione, abbandonare terra, amici, famiglia, abitudini ed affetti ed emigrare in una provincia più amica, dove 'l'indesiderabile' si rivela ottimo e assiduo lavoratore tanto da guadagnarsi posti di comando. Ma perché è diventato indesiderabile? Perché,il più delle volte, ha mostrato la sua intolleranza a certi comandi prepotenti, ha mostrato i denti a certe manifestazioni di disciplina che non sono altro che manifestazioni di arbitrio, ha discusso con troppo calore le tariffe e le retribuzioni del cottimo, ha contestato il ragionamento del capo con argomentazioni troppo intelligenti, si è ammalato con troppa frequenza, ha risposto sgarbatamente a un guardiano il quale lo riprendeva con ancora maggiore sgarbatezza... L'operaio non saprà mai di figurare nel libro nero. Se ne accorgerà soltanto perché, nonostante la legge sul collocamento, per lui la via del lavoro nella città nativa sarà per sempre preclusa. Il nostro ragionamento dimostra facilmente, con i fatti più sostanziali, come il lavoratore non può sentirsi cautelato dalla funzione legislativa del collocamento se essa non è completata da una precisa disciplina dei licenziamenti, dall'esame dei quali l'organizzazione dei lavoratori non può e non deve essere estranea senza grave pregiudizio dei suoi rappresentati. Soltanto così la delicata funzione sociale del collocamento sarà completata e con essa sarà definitivamente debellato il residuo spirito di rappresaglia che guida ancora l'azione di quei funzionari che non hanno ancora compreso che il popolo, anche se in tuta, è lo Stato, perché lavora per lo Stato, soltanto per lo Stato e nulla complotta contro lo Stato. Per il che va temuto e rispettato. (leggi articolo)

Nel 1942, in piena guerra, Carloni afferma la necessità di un "accorciamento delle distanze" tra le classi e i gruppi sociali.
Sappiamo per esperienza – egli scrive – come intorno al reale sacrificio del proletariato che sa stringere la cintola, sia pur borbottando, che sa rispettare senza rimpianto la mancanza di agi, di cibo e di qualunque comodità della vita, vive una vecchia, superata, decrepita famiglia di benestanti che soffre per la mancanza di sapone profumato, di vestiti provenienti dalla moda parigina o londinese, di cibi sani e sostanziosi, dell'impossibilità di frequentare le stazioni climatiche straniere e di non poter organizzare più i mercoledì e i sabato in uso negli ambienti tarati della media e grassa borghesia... Per accorciamento delle distanze non intendiamo in piena guerra correre l'avventura di riforme che potrebbero ripercuotersi sulla produzione bellica e sull'economia del Paese. Intendiamo solo ricordare agli immemori che si possono migliorare le condizioni del popolo assicurandogli un trattamento di maggiore giustizia, specie nel trattamento morale, anche se bagliori di guerra illuminano il mondo. E qual è questa maggiore giustizia? Una più equa distribuzione di quei profitti che scaturiscono dal lavoro e un accorciamento delle distanze in tutte quelle manifestazioni esteriori che distinguono i rapporti tra le varie classi sociali e, ad esempio, la soppressione di quelle distinzioni tra il trattamento morale praticato ai dirigenti d'azienda e agli impiegati di 'alta quotazione' e quello in atto per i lavoratori del braccio che pur essendo gli artefici massimi della produzione e della ricchezza, sono pur sempre i derelitti e spesso i sopportati. (leggi articolo)

Contigua a quella sindacale e altrettanto incisiva fu l'attività svolta per alcuni anni da Carloni in campo mutualistico nella sua veste di Amministratore delegato della mutua aziendale della "Terni".

I principi cui egli si ispirò in questo campo emergono anch'essi da alcuni suoi interventi su "Acciaio".

Su questo foglio, nel 1935, Carloni sottolinea il miglioramento dell'assistenza mutualistica degli operai siderurgici a seguito del passaggio dalle mutue libere alle mutue paritetiche aziendali, interaziendali e professionali: ...E' già un anno – egli scrive – che, vincendo le naturali resistenze di uomini interessati (la mutua) è riuscita a dotare gli associati di un gabinetto per le cure fisiche mediante apparecchi per applicazioni diatermiche, di raggi infrarossi ed ultravioletti. Chi tra gli operai non ha il triste ricordo delle varie centinaia di lire spese per poche applicazioni in gabinetti privati dove si recavano alla ricerca dei mezzi per neutralizzare gli effetti del male? Oggi essi e le loro famiglie hanno nel gabinetto, già da un anno in piena funzione, la certezza di poter curare le loro malattie senza dover ricorrere alla ricerca affannosa di sussidi per poter pagare l'onorario richiesto dai professionisti locali, non sempre alla portata del modesto, e... sempre vuoto, portafoglio dell'operaio. Al gabinetto per le cure fisiche farà seguito, tra poco, il gabinetto odontoiatrico per la cure di tutte le malattie della bocca. Anche per il finanziamento di questa iniziativa – egli aggiunge – gli ostacoli non sono mancati, né sono del tutto superati. Si capisce facilmente la ragione di essi. Gli interessi di alcuni sono toccati. Col funzionamento del nostro gabinetto, le estrazioni, alle quali devono ricorrere gli operai per mancanza dei mezzi necessari alla cura, non costeranno più di 15 lire. Ed anche la modesta borsa dell'operaio sarà in grado di pagarsi le otturazioni e forse anche di pagarsi le applicazioni di denti... Che importa, di fronte al beneficio risentito da migliaia di lavoratori, il danno che ne deriverà a quattro o cinque professionisti locali? Nella parte finale dell'articolo Carloni auspica un aumento del sussidio di malattia e l'apertura di cliniche provinciali e interprovinciali specializzate nei vari rami delle cure mediche o chirurgiche.
Quanto ai convalescenziari, ...ne dovranno sorgere degli altri, i nostri, quelli della mutualità.Solo in questo modo le mutue paritetiche potranno dire di assolvere in pieno il loro alto programma nel campo della assistenza operaia. (leggi articolo)

Nello stesso anno e sul medesimo settimanale Carloni scrive che ...la previdenza non rappresenta il sacrificio della quota mensile che un assicurato è chiamato a versare, ma è il radioso faro che illumina la buia notte del lavoratore, dando ad esso la tranquillità per sopportare i duri colpi del destino. Si convincano, coloro che giudicano secondo la capacità del proprio portafoglio e non si rendono conto di quanto atroce è la situazione dell'operaio quando, privo di lavoro e roso dal male, non può col proprio guadagno assicurare l'esistenza della famiglia e trascina per mesi, spesso per anni, le conseguenze economiche della malattia, che il sussidio corrisposto dalle mutue non può essere rappresentato dalla metà, o spesso meno, di quello che l'associato percepirebbe se la malattia non lo tenesse lontano dal lavoro. L'assicurazione dovrebbe essere intesa, e lo sarà certamente, nel senso che alla famiglia venga garantito quel tanto che basti per sostenere le spese della malattia e per fronteggiare quelle necessarie al proprio sostentamento. Non si parli quindi di restringere o di abolire certi organismi mutualistici esistenti, soltanto perché il sussidio da essi corrisposto, aggiunto a quello della mutua paritetica di categoria, va a formare un totale che di qualche soldo è superiore a quello giornaliero. Se questo avviene, si rientra nell'ordine normale delle cose. Non è vero che si sprechi sulla mutualità quando il sussidio permette una maggiore tranquillità. Se anche si specula (una percentuale minima di disonesti esiste in tutte le categorie sociali) necessita studiare i mezzi per impedirlo, richiamando, qualora si rendesse necessario, il medico curante ad un maggior controllo sull'ammalato e l'ispettore ad una maggiore vigilanza, ma non rappresenti, la speculazione, la scusa per dimostrare la necessità del basso sussidio. Speculazioni di ben altro significato e di altra portata sociale lo Stato fascista ha frantumato sul nascere. L'operaio è onesto e probo. E così vedremo estendere l'assistenza ai membri della famiglia, allargare la concessione delle specialità medicinali, contribuire in forma più forte alle spese ospedaliere e chirurgiche, alleggerire qualunque aggravio amministrativo, tendere alla istituzione di tutti i mezzi di indagine atti a diagnosticare la malattia, a curarla, a guarirla e anche a prevenirla. (leggi articolo)

A coronamento della sua lunga attività sindacale, nel 1940 Maceo Carloni trattò e sottoscrisse, come rappresentante degli operai siderurgici, il contratto collettivo nazionale di lavoro con cui furono disciplinati, con efficacia obbligatoria nei confronti di tutti i lavoratori e datori di lavoro del settore, istituti poi recepiti dalla contrattazione post-bellica, quali l'apprendistato, l'istruzione professionale, il lavoro straordinario, festivo e notturno, le ferie, la gratifica natalizia, la gravidanza e il puerperio, nonché il trattamento di fine rapporto: contratto che nel dopoguerra rimase in vigore fino all’emanazione della legge L. 14.07.1959 n. 741 (cosiddetta legge “Vigorelli”) per i lavoratori che, in quanto non iscritti ai sindacati, non erano tutelati dai contratti collettivi di diritto privato.

Dopo la caduta del Regime Carloni non aderì al fascismo repubblicano, ma continuò a svolgere l'attività di sindacalista e quella di Direttore della Mutua. Nel febbraio del 1944 fu eletto nella Commissione interna delle Acciaierie – categoria operai – insieme ad alcuni noti antifascisti (Orientali, Bisci, Secci, Campagna).
Altri antifascisti (Scalzone e Perfetti) entrarono a far parte della Commissione interna della categoria impiegati. leggi il documento Nella storiografia resistenziale del dopoguerra la partecipazione di candidati antifascisti all'elezione delle commissioni interne delle acciaierie di Terni e di altre grandi aziende ("Tranvie Elettriche di Terni" e "Stabilimenti Elettrochimici di Nera Montoro") è stata rappresentata come un colpo di mano del P.C.I. e dei movimenti politici ad esso alleati volto a infiltrare nelle Commissioni stesse propri rappresentanti.
Questa tesi non è però condivisibile, poiché i personaggi poc'anzi menzionati furono inseriti tra i candidati all'elezione col preventivo consenso del sindacato fascista e dell'autorità politica al potere. Non è pensabile infatti che l'uno e l'altra ne ignorassero l'appartenenza politica, essendo ben noto il loro passato antifascista e, specialmente, il fatto che due di essi (Orientali, anarchico, e Bisci,comunista) erano stati condannati dal Tribunale Speciale al carcere e al confino.
La realtà è che non si trattò di una iniziativa clandestina presa da fonte antifascista contro il regime repubblicano e che, al contrario, le liste furono preventivamente concordate tra le opposte parti politiche all'esito di una trattativa pacificatrice cui Maceo Carloni non fu certamente estraneo. Trattativa e accordo che avevano per antefatto l'appello con cui la locale Federazione fascista aveva invitato gli antifascisti a collaborare col Regime per la realizzazione di un programma sociale comune.
Nominate le nuove Commissioni Maceo Carloni preparò il testo della lettera con cui esse rivolgevano un drammatico appello a Mussolini chiedendogli un urgente intervento volto a sostenere le industrie di Terni mediante sovvenzioni e commesse di lavoro, nonché ad evitare ulteriori asportazioni di macchinari e mezzi di produzione. leggi il documento

All'Eccellenza Benito Mussolini, Capo della Repubblica Sociale Italiana Quartier Generale. Le commissioni di fabbrica degli stabilimenti siderurgici ed elettrochimici della Società "Terni" in Terni, recentemente elette dai dipendenti lavoratori, nei primi contatti avuti con le autorità locali hanno sottoposto alle stesse la precaria situazione delle nostre industrie.
Tale situazione si riassume in questi termini:
1) Artigianato, industrie tessili, poligrafiche, piccola e media meccanica e fonderie, completamente distrutte dai bombardamenti aerei.
2) Fabbrica d'armi: lievemente colpita da incursioni, è restata totalmente inattiva per l'asportazione completa di tutto il macchinario, delle attrezzature e delle materie prime.
Operai licenziati circa 5.000
3) Acciaieria: parzialmente colpita dalle incursioni, ciò nonostante in grado di mantenere efficiente la sua capacità produttiva, viene metodicamente privata dei suoi mezzi di produzione tanto che i lavoratori, in numero di circa 10.000, sono attualmente ridotti a 1.700 unità. L'asportazione dei mezzi di produzione (macchine, attrezzature e materie prime) continua.
4) Stabilimenti elettrochimici, la cui produzione è essenzialmente destinata all'agricoltura, non hanno subito alcun danno da offese aeree nemiche. An¬ch'essi vengono metodicamente privati dei loro impianti tanto che la potenzia¬lità di questi è già ridotta a 1/3 della normale. Lavoratori occupati oltre 3.000.
Terni, dunque, la già dinamica ed acciaiata Città, le cui industrie Voi vedeste di persona pulsanti di febbrile attività, è entrata nella fase che possiamo definire preagonica, non tanto per le ferite di guerra, esse pure gravissime, quanto per la volontà degli uomini che ne hanno decretato la morte.
Tale destino che non è quello meritato dalla nostra Città e dai lavoratori, non ha richiamato, neppure per un momento, l'attenzione delle autorità cen¬trali, politiche e sindacali, le quali sembrano disinteressarsi della tragica situa¬zione locale: che è motivo di vivissimo disappunto e dà la sensazione che Città e lavoratori siano lasciati in completo abbandono.
Tale situazione non è neppure attenuata dalla constatazione dell'opera energica, pronta e tenace, svolta dall'eccellenza il Prefetto e dal Segretario dell'Unione provinciale dei lavoratori intesa a richiamare l'attenzione degli organi centrali, sino ad oggi, sterile di risultati.
Ecco perché le commissioni di fabbrica ritengono doveroso e urgente far giungere a Voi la conoscenza della tragica situazione che si è venuta a determinare in questo centro industriale, situazione che senza l'energico intervento di V.E. precipiterebbe inevitabilmente e irreparabilmente.
Ora i lavoratori, pur rendendosi conto delle ferree esigenze della particolare posizione geografica della Città rispetto alle zone di operazioni belliche, ritengono che il centro industriale di Terni possa ancora essere parzialmente salvato per oggi e maggiormente per il dopoguerra, soltanto se alle industrie verrà lasciato quel minimo di mezzi di produzione, che potrà rappresentare il nucleo base per la ricostruzione a venire.
Per oggi, se lo Stato vorrà intervenire a sostegno delle nostre industrie, come già praticato in altre Provincie, con sovvenzioni e commesse di lavoro.
Per il dopoguerra evitando ogni ulteriore trasferimento dei macchinari e dei mezzi di produzione in genere, il quale potrebbe rispondere anche ad un eventuale piano di trapianto delle industrie in altre zone (vicino al mare) d'Italia.
I lavoratori di Terni invocano il Vostro alto intervento affinché le loro doti di tecnica, capacità produttiva e disciplina ancora una volta siano messe al servizio della Nazione non avendo essi altre ambizione che quella di servire il lavoro per le alte fortune della Patria già tanto martoriata.

Nel settembre del 1943, in seguito a ripetuti bombardamenti nella città di Terni, Maceo Carloni fu costretto a trasferirsi con la famiglia ad alcuni chilometri dalla città, in prossimità di Castel di Lago. Quotidianamente egli raggiungeva la fabbrica in bicicletta.

Note:
1 Archivio Centrale dello Stato (d'ora in poi ACS), Ministero Interno, Polizia Politica, Scheda personale di Maceo Carloni, b. 248. - torna su
2 Spirito che si rivela anche in un episodio, apparentemente minore, nella lettera con cui Maceo Carloni rimprovera ai dirigenti del Circolo Corridoni di aver organizzato, per il 30 gennaio 1937, un grande ballo di gala riservato alla Buona società di Terni, iniziato alle 21 e cessato alle 5 del mattino."Mentre centinaia di lavoratori" – egli scrive – "hanno seguito l'incanto della notte e hanno compreso l'importanza del 'cenone' dai rifiuti d'ogni specie che dalle finestre del Dopolavoro sono scesi dinanzi ai loro uffici... Spettacolo non edificante se si pensa che gli operai in servizio sono coloro che da tre anni, per mancanza di lavoro, fanno pesantissimi turni lavorando in media dalle 32 alle 40 ore settimanali." - torna su
3 Archivio Famiglia Carloni.- torna su
4 ACS, fondo Cianetti, b. 7, Lettera di T. Cianetti al Ministro delle Corporazioni, Roma 25.1.1935-XVII, in cui il Carloni è descritto come "ottimo lavoratore, dirigente sindacale appassionato ed equilibrato; elemento apprezzato e considerato dalle Gerarchie politiche e sindacali, amato dai compagni di lavoro". - torna su
5 Fin dal 1931 esisteva il Patronato per i liberati dal carcere, che tra i compiti istituzionali aveva quello di procurare lavoro agli ex carcerati ed anche agli ex confinati. Tra i componenti del Patronato c'erano le rappresentanze sindacali di lavoratori e industriali. Il Prefetto e il Questore di Terni si interessarono al Carini perché il federale impediva al Patronato di svolgere la sua funzione istituzionale, e alla fine raggiunsero il loro scopo facendo assumere l'ex confinato politico alle Acciaierie. ACS, PNF, b. 24, f. "Terni"; Lettera di Giulio Santoni al Questore di Terni, 4 maggio 1937; Lettera del Reggente la Questura di Terni, Consolazio, al Capo della Polizia, 9 maggio 1937; Appunti a firma del Capo della Polizia A. Bocchini, per il Gabinetto di S.E. il Ministero dell'Interno, 9 giugno 1937. - torna su

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