MACEO CARLONI
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Sindacalista negli anni del fascismo

Nel dopoguerra i mandanti e gli autori del delitto, individuati dall'Arma dei Carabinieri, furono sottoposti a processo dinanzi al Tribunale di Terni. Quasi al termine dell'istruttoria, nella notte del 14.11.1949, ignoti si introdussero nella Cancelleria del Tribunale e distrussero con il fuoco l'incartamento processuale. Fu così necessario rinnovare l'escussione di oltre cento testimoni, soprattutto operai. Vennero sentiti anche due ex funzionari della squadra politica fascista (M.llo Maggiore Umberto Capati e M.llo Superiore Odoardo Bacherini), nonché l'ex Prefetto di Terni, Antonio Antonucci. (nota 1)
Il primo così si espresse:"Confermo integralmente la dichiarazione da me resa alla Pubblica Sicurezza il 09.07.1948 e di cui ho ricevuto lettura. Da indagini compiute da me e dai componenti la squadra politica risultò che il Carloni alle origini fu attivo antifascista e che in seguito rimase sempre convinto avversario dello stesso Regime. Si iscrisse al fascio nel 1933, ma le prove di attaccamento alla politica fascista furono negative, perché aiutò e sistemò molti confinati e perseguitati politici. Per tale ultimo motivo non fu eletto membro della Camera dei fasci e delle corporazioni. Ricordo che un anno il federale di Terni Santoni voleva defenestrare il Carloni, che invece fu mantenuto nella carica di fiduciario dei siderurgici dal prefetto Selvi, che aveva notato l'ascendente esercitato dal Carloni nelle masse. Durante il periodo della Repubblica Sociale il Carloni non fu mai visto da me né alla federazione fascista, né all'ufficio politico. Negli ambienti fascisti la soppressione di Maceo Carloni non fu attribuita a motivi politici ma unicamente a vendetta personale di qualche operaio che non aveva potuto ottenere qualcosa" (Tribunale di Terni, G.I. Colacci, Udienza 10.06.1950). Identica testimonianza fu resa da Odoardo Bacherini. L'ex Prefetto di Terni, a sua volta, così dichiarò: "Durante gli anni in cui ho governato la provincia di Terni come Prefetto e cioè dall'agosto 1939 al 3 ottobre 1943, giorno in cui fui arrestato dai nazifascisti, ho conosciuto il signor Maceo Carloni e più volte mi sono incontrato con lui. Il Carloni come rappresentante dei lavoratori, se mal non ricordo, si interessava di questioni sindacali delle quali anche io come Prefetto dovevo talora occuparmi. Ho avuto così modo di constatare che nella suddetta attività il Carloni, benché fascista, non era in alcun modo fazioso, né commetteva soprusi avvalendosi del Regime fascista allora al potere, limitandosi solo alla difesa degli interessi di categoria, il che faceva in maniera onesta e corretta. Di tutto ciò ho un ricordo preciso, pur non essendo in grado a tanta distanza di tempo di citare alcuna circostanza specifica. So che il Carloni fu ucciso all'epoca della dominazione tedesca ma nulla sono in grado di riferire in merito alla sua morte, poiché dopo la mia liberazione dal carcere di Perugia ove ero stato ristretto, e cioè verso la fine dell'ottobre 1943, fui confinato con la mia famiglia nella fattoria Corsini di Sismano presso Montecastrilli, fino alla liberazione della zona da parte delle truppe alleate (giugno 1944) e sotto stretta vigilanza delle Autorità nazifasciste, senza avere alcun contatto con l'esterno. "(Tribunale di Roma – per rogatoria – G.I. Gabriotti, 5 febbraio 1951).
Chiusa l'istruttoria, il processo fu definito dal Giudice Istruttore Dr. Colacci con dichiarazione di non doversi procedere nei confronti degli imputati
(nota 2) per il reato di omicidio volontario, essendo ricompreso, il reato a essi contestato, nell'amnistia per i reati politici antifascisti largita con D.L. 17/11/1945, n. 719. Nella motivazione della sentenza il Giudice attestò che"il Carloni, pur essendo stato fascista, non aveva aderito alla P.R.F. e non si curava più di politica dedicandosi solo al proprio lavoro quale capo operaio delle Acciaierie di Terni e trattenendosi esclusivamente in famiglia senza avere rapporti di dimestichezza né con i tedeschi, né con i militi fascisti. Definì, inoltre, la sua uccisione come"un episodio, sia pure barbaro e feroce, della lotta contro il fascismo e affermò che non era stata raggiunta la prova della pretesa attività spionistica e collaborazionistica della vittima," che "non era emerso alcun episodio che potesse far pensare a sue attività pericolose per i partigiani"e" che troppo leggermente ne era stata decisa la soppressione senza procedere agli accertamenti che erano pure possibili e che, se effettuati, avrebbero escluso la sua pericolosità." Ciò malgrado, il Giudice Istruttore ritenne di concedere agli imputati il beneficio dell'amnistia, nel presupposto che essi, pur avendo ucciso un innocente, l'avessero fatto nel clima della guerra civile, non per motivi personali, ma nell'erroneo convincimento che la vittima, per le cariche sindacali ricoperte e per i conseguenti suoi contatti con le locali Autorità del Regime, fosse un nemico politico da eliminare.

Note:
1) Antonio Antonucci fu nominato Prefetto di Terni nell’agosto del 1939 e mantenne tale carica fino all’ottobre dl 1943,allorchè,inviso al Regime fascista, fu messo a disposizione, per essere collocato a riposo nel febbraio 1944per ragioni di servizio. Caduto il Regime, egli fu richiamato al suo posto e rivestì, nel Regime democratico,la carica di Prefetto di Bari tra l’agosto del 1944 e l’ottobre del 1945 e di Prefetto di Roma dall’ottobre del 1951 all’ottobre del 1952 ( v.Alberto Cifelli “I Prefetti del Regno nel ventennio fascista)). La testimonianza, resa pochi mesi prima di tale ultima nomina, assume una particolare rilievo, in quanto proveniente da un alto funzionario delle Stato ostile al fascismo e, all’epoca, ancora in servizio. torna su
2) Filipponi Alfredo, Rossi Riziero, Procoli Aroldo, Bartolucci Egisto, Gigli Vasco, Filipponi Mario, Conti Riccardo, Fossatelli Armando, Zenoni Bruno, Cerroni Enzo, Floridi Marini Sante, Bartolini Dante, Migozzi Martino, Sabatini Mario, La Bella Emilio e Bonanni Innocenzo. torna su